Nei confronti di alcuni dipendenti era stato disposto il licenziamento, con addebito da parte del datore di lavoro di essersi posti alla testa di un corteo di circa cinquanta lavoratori che, con atteggiamento aggressivo e intimidatorio, aveva cercato di impedire il regolare svolgimento dell’assemblea anche attraverso il lancio di oggetti , , per un prestatore la contestazione riguardava anche l’accesso in azienda fuori dal regolare turno di lavoro e senza averne dato preventiva comunicazione al personale di sorveglianza, come da disposizioni aziendali valide anche per i rappresentanti sindacali.
Il Tribunale aveva accolto il ricorso dei dipendenti disponendo la reintegrazione degli stessi,confermata dalla Corte d’Appello.
Nella sentenza ,la Suprema Corte ,tra l’altro ,nel respingere il ricorso ,afferma che i giudici d’appello hanno ritenuto che essa ha ad oggetto comportamenti non esemplificati né individuati attraverso descrizioni obiettive tali da sostanziare quel minimo di specificità che consente al lavoratore di difendersi.
Né a tal fine basta riferirsi allo “stare alla testa di un corteo”, circostanza che di per sé non implica nessuna conseguente partecipazione agli illeciti addebitati.
In proposito la società ricorrente insiste su un concetto di responsabilità per le azioni del gruppo, che nel nostro ordinamento non può essere oggettiva, ma suppone pur sempre una condotta, anche minima, diretta a rafforzare l’altrui azione offensiva o ad aggravarne gli effetti, condotta non descritta nelle lettere di contestazione.”
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CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 febbraio 2015, n. 3535