In relazione alle specifiche questioni definite ,si segnalano le seguenti decisioni della Corte di Cassazione inerenti il lavoro e la legislazione sociale :
Sentenza 07 giugno 2011, n. 12316
Alla luce della più recente giurisprudenza della Corte (Cass. SS.UU., 16.4.2009 n. 9005, cui hanno fatto seguito Cass. sez. 3a, 28.9.2009 n. 20795; Cass. sez. 3a, 1.12.2009 n. 25296; Cass. sez. 3a, 26.4.2010 n. 9928; Cass. sez. 3a, 10.9.2010 n. 19271), la previsione, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, dell’onere di deposito, a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con la osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente o implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve essere quindi dichiarato improcedibile.
E pertanto nella fattispecie in esame, avendo il ricorrente evidenziato che la sentenza impugnata gli era stata notificata il 30.10.2009, senza peraltro depositare copia della sentenza impugnata corredata della relazione di notifica, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
Sentenza 23 giugno 2011, n. 13780
Nel caso in esame, alcuni lavoratori si sono offerti di garantire le prestazioni indipensabili durante lo sciopero e l’azienda ha preso atto di tale scelta e non ha indicato soluzioni diverse, evidentemente ritenendola adeguata e facendola propria. Ha omesso di comunicare ai sindacati chi fossero tali lavoratori.
Dalla lettura della disposizione ( art.3 dell’accordo sui servizi pubblici essenziali 20 e 26 settembre 2001), si desume però che il diritto delle organizzazioni sindacali a sapere almeno cinque giorni prima dello sciopero quali lavoratori dovranno garantire le prestazioni indispensabili, è autonomo e distinto rispetto a quello dei singoli lavoratori interessati. La mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali lede questo diritto.
Al di là di questo insuperabile dato formale, sussiste un interesse del sindacato che organizza uno sciopero a sapere come verrà risolto il problema delle garanzia delle prestazioni indispensabili e a conoscere i nomi dei lavoratori tenuti a garantirle ed esonerati dalla partecipazione allo sciopero (né può presumersi che il sindacato venga tempestivamente informato direttamente dai lavoratori che hanno dato la loro disponibilità al datore di lavoro, specie qualora questi lavoratori siano iscritti ad altre associazioni sindacali o non siano affiliati ad alcun sindacato). Tale interesse del sindacato è riconosciuto e tutelato dal contratto collettivo.
Il ricorso dell’azienda ospedaliera, pertanto, deve essere rigettato
Sentenza 27 giugno 2011, n. 25615
Osserva il Collegio che la norma incriminatrice( art.22 ,comma 12, dec.legvo n.286/98) punisce, prescindendo pertanto dalla fase specifica e precipua dell’assunzione, “chi occupa alle proprie dipendenze”, condotta questa la quale, come reso palese dal significato letterale delle parole utilizzate, fa riferimento all’occupazione lavorativa, condotta che può realizzarsi Con l’assunzione, ma non soltanto con essa. Ai sensi di legge risponde infatti del reato in esame non soltanto chi assume il lavoratore straniero che si trovi nelle condizioni indicate dalla fattispecie incriminatrice, bensì anche chi, pur non avendo provveduto direttamente ad essa (assunzione), se ne avvalga tenendo alle sue dipendenze, eppertanto occupando più o meno stabilmente, l’assunto.
E tanto ha inteso questa Corte affermare con le pronunce difensivamente richiamate, le quali vanno intese nel senso che la norma penale in esame punisce sia chi procede all’assunzione della manodopera in situazione di illegalità quanto alle condizioni di permanenza nel nostro paese, sia chi tale manodopera comunque occupi alle sue dipendenze giovandosi dell’assunzione personalmente non effettuata.
Orbene, nel caso di specie il ricorrente, al momento in cui le assunzioni avvennero, rivestiva la carica sociale di amministratore unico della persona giuridica la quale di essi si avvalse, ancorché eseguite le medesime da chi, per conto della società, aveva l’incarico di provvedervi, dappoiché non può esservi dubbio sulla circostanza di fatto che i lavoratori extracomunitari di cui alla contestazione di reato, dopo l’assunzione operata dal dipendente, siano rimasti occupati alle dipendenze della s.r.l. R. F., il cui legale rappresentante era, appunto, l’imputato ricorrente, il quale, in siffatto quadro fattuale e giuridico, legittimamente è stato ritenuto colpevole del reato.
Né può ritenersi risolutiva l’ulteriore considerazione difensiva che non era l’imputato al corrente, e quindi consapevole, della stipulazione dei contratti di lavoro da parte di M. F., giacché il reato in esame, all’epoca della contestazione, aveva natura contravvenzionale e la condotta era pertanto imputata a titolo di colpa, ravvisabile senza incertezze in capo a chi della società assuntrice della manodopera era il legale rappresentante, incombendo sul medesimo l’onere di impartire le direttive necessarie per assicurare assunzioni legittime e nel rispetto delle leggi vigenti in materia.
Il ricorso pertanto, giacché fondato su argomentazioni del tutto incoerenti con il sistema normativo di riferimento, è inammissibile
Sentenza 30 marzo 2011, n. 7186
In presenza di normative che, al fine di garantire parità di trattamento, in termini particolarmente incisivi e circostanziati, e correlativamente vietare discriminazioni ingiustificate, con riferimento a fattori meritevoli di particolare considerazione sulla base di indicazioni costituzionali o fonti sopranazionali, articolano in maniera specifica disposizioni di divieto di determinate discriminazioni e contemporaneamente istituiscono strumenti processuali speciali per la loro repressione, affidati al giudice ordinario, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso configurare, a tutela del soggetto potenziale vittima delle discriminazioni, una specifica posizione di diritto soggettivo, e specificamente un diritto qualificabile come “diritto assoluto” in quanto posto a presidio di una area di libertà e potenzialità del soggetto, rispetto a qualsiasi tipo di violazione della stessa.
Il fatto che la posizione tutelata assurga a diritto assoluto, e che simmetricamente possano qualificarsi come fatti illeciti i comportamenti di mancato rispetto della stessa, fa sì che il contenuto e l’estensione delle tutele conseguibili in giudizio presentino aspetti di atipicità e di variabilità in dipendenza del tipo di condotta lesiva che è stata messa in essere e anche della preesistenza o meno di posizioni soggettive di diritto o interesse legittimo del soggetto leso a determinate prestazioni. Dì ciò si trova riscontro nel dettato normativo, secondo cui il giudice può “ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione” (art. 44, comma 1, d.lgs. n. 286/1998), oltre che condannare il responsabile al risarcimento del danno (comma 7).
Deve in conclusione dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, cosi’ che le spese del giudizio vengono poste a carico della parte ricorrente, che ha contestato la riconosciuta giurisdizione del giudice ordinario.
Sentenza 27 giugno 2011, n. 25608
Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di …
Infatti sussiste chiaramente il vizio di contraddittorietà della motivazione denunciato, atteso che la sentenza impugnata dà atto della circostanza che la (…) aggredì per ben due volte la dottoressa (…) medico dell’INPS che nell’appartamento stava effettuando una visita fiscale ed era pertanto nell’esercizio di funzioni di Pubblico Ufficiale, non riconoscendo alla reazione della predetta le caratteristiche di azione difensiva, con la motivazione pretestuosa che la reazione appariva eccessiva, non considerando che chi è reiteratemente aggredito di regola reagisce come può secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l’intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva, salva l’ipotesi di eventuale manifesta sproporzione, che nel caso di specie non sussiste secondo quanto la stessa sentenza impugnata riferisce.
Sentenza 28 giugno 2011, n. 14285
I motivi, che in quanto strettamente connessi vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Ritiene, infatti, il Collegio di dare continuità giuridica al principio di recente riaffermato da questa Corte nella materia di cui trattasi, secondo il quale in tema di assunzione di lavoratori subordinati con contratto di lavoro a termine, l’Cass. n. 8015/2003).
Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che, anche in riferimento alle assunzioni a termine disposte – ai sensi dell’art. 23 della l. n. 56 del 1987, e con il principio – rimasto intatto fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 638 del 2001 – che richiede, per la legittima prosecuzione del rapporto, esigenze “contingenti e imprevedibili” relative alla stessa attività lavorativa.
Del resto, nella fattispecie in esame, il giudice d’appello non ha nemmeno dato rilievo al fatto che la proroga sarebbe stata motivata da esigenze diverse da quelle che avevano giustificato l’assunzione iniziale, limitandosi ad osservare che la proroga del contratto a termine non poteva ritenersi giustificata da esigenze contingenti e imprevedibili, considerato che i lavori di automazione, con riferimento ai quali era stata disposta la proroga, risultavano ultimati ben prima del mese di maggio 2000 e che anche dalla deposizione testimoniale richiamata dalla difesa della società era emerso che i lavori erano terminati entro il mese di aprile dello stesso anno.
Sentenza 13 giugno 2011, n. 12919
Deve ritenersi diritto vivente il principio secondo il quale “in caso di vacanza di posti di lavoro che devono essere coperti (in forza di obbligo assunto dal datore di lavoro con il contratto collettivo), all’esito di procedure di selezione, l’assegnazione reiterata ad un lavoratore delle mansioni superiori inerenti ai detti posti, ciascuna per un periodo inferiore a quello richiesto dall’art. 2103 c.c. o dal contratto collettivo per l’effetto di c.d. promozione automatica, si presume determinata da una esigenza organizzativa reale, preordinata a mantenere l’effetto interruttivo della revoca dell’assegnazione alle mansioni superiori per adempiere all’obbligo negozialmente assunto presunzione che esclude la causa utilitaristica e la sanzione del computo utile dei periodi per sommatoria, salvo che non sia accertata l’eccessiva e artificiosa protrazione dei tempi di adempimento nelle diverse fasi richieste dal contenuto dell’obbligazione (determinazione dei criteri di selezione e delle modalità del procedimento; indizione del concorso, espletamento della procedura di selezione e approvazione della graduatoria)”.