Archive for marzo 2013

A V V I S O

27/03/2013

Si avvertono i visitatori del Blog che in occcasione  delle festivita’ pasquali ,rispetto a cui si formulano sentiti e sinceri auguri, non si procedera’ all’aggiornamento dello stesso .

RAPPORTO TRA CIGS E TFR

26/03/2013

In  riferimento alla   richiesta di conoscere il rapporto  tra la cigs ed il tfr ,con particolare riferimento al fondo di tesoreria inps,si rappresenta  che   attualmente trova applicazione la disciplina  che di seguito si espone  
Durante i periodi soggetti al trattamento di integrazione salariale, i lavoratori continuano a maturare il diritto al Tfr, determinando la retribuzione annua, utile a tale scopo, secondo le modalità fissate dall’art. 2120 del codice civile e considerando la retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito se avesse effettivamente lavorato.

  Per i   lavoratori   interessati dal trattamento di integrazione salariale straordinario, così come sancito dall’art. 2 della legge n. 464/1972, le quote di Tfr maturato durante il predetto periodo di sospensione, possono essere chieste a rimborso direttamente all’Inps, nel caso in cui i lavoratori siano stati ininterrottamente sospesi e  licenziati durante o al termine del periodo integrato.
Tuttavia, i periodi soggetti al suddetto rimborso, sono quelli immediatamente precedenti la cessazione del rapporto di lavoro e, per i quali, non sia intervenuto un evento che abbia determinato l’interruzione della continuità cronologica della sospensione per Cigs.
A tale fine, determinano l’impossibilità di imputare le quote di Tfr a carico della cassa integrazione straordinaria, i riposi pre e post partum, la rioccupazione presso la stessa azienda, il servizio militare e le ferie (circolare Inps n. 38/1987).

Si aggiunge che la fruizione da parte del lavoratore del trattamento straordinario di integrazione salariale concesso ai sensi dell’ art. 3 della L. 223/91, presuppone la continuazione reale – e non fittizia – del rapporto di lavoro con l’ impresa fallita fino al termine di concessione della CIGS.

Di conseguenza l’ intervento del Fondo, relativamente alla quota del TFR maturata prima del trattamento straordinario di integrazione salariale – con esclusione della quota riferibile al beneficio assistenziale la quale grava sulla Gestione di cui all’ art. 37 della legge n. 88/89 –  potrà essere richiesto al termine del periodo di fruizione del trattamento in parola, purché intervenga una causa di risoluzione del rapporto (licenziamento o dimissioni).

Per quanto concerne nello specifico i contratti di solidarieta’ difensivi di cui all’art.1 della legge n.863/84,è da riferire che anche qui il trattamento di fine rapporto matura sull’intero importo della retribuzione contrattuale in quanto la diminuzione della retribuzione non produce effetto su tale istituto contrattuale.(art.1 comma 5 legge precitata ,come sostituito dal comma 2 bis art 8 della legge n.160/88)

Per le ore lavorate, il datore di lavoro continuerà ad accantonare il TFR a suo carico, mentre per quelle non lavorate per effetto del CDS il TFR sarà a carico dell’INPS.

Andranno calcolate due quote:

– una sulla retribuzione corrispondente alle ore effettivamente lavorate (o comunque coperte da eventuale altra assenza tutelata);
– una sulle ore non lavorate per effetto del CDS.

E’ comunque il datore di lavoro a corrispondere l’intero TFR recuperando le quote accantonate, comprensive della rivalutazione mediante conguaglio sui versamenti dovuti tramite codice contributivo L042 da indicare sul flusso UNIEMENS, solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro (art. 1 comma 5 d.l n. 726/84 art. 8, c. 2-bis, dl n. 86/88 – conv. in L.160/88 – circolare INPS n. 212 13 luglio 1994).

Sul piano pratico il datore di lavoro dovrà comunicare all’INPS i nominativi dei lavoratori interessati, con l’indicazione delle quote di retribuzione perse, assunte a base di calcolo dell’integrazione salariale. Il codice L042 richiede anche l’indicazione del numero dei lavoratori ai quali è stato liquidato il TFR a carico dell’INPS.

L’INPS ha precisato che il diritto al rimborso può essere riconosciuto solo al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, anche se questo avviene a distanza di anni dalla fine del CDS. In attesa di chiarimenti da parte dell’INPS, il contributo da versare presso la tesoreria, verrà effettuato esclusivamente considerando il c/ datore di lavoro.

Per quanto riguarda il versamento del TFR agli eventuali fondi di previdenza complementare scelti dai dipendenti, la questione è ancora complessa e irrisolta. Non essendo l’istituto del CDS quasi mai utilizzato fino ad oggi, non esiste ne’ normativa, ne’ prassi specifica. In merito risulta esser stato posto un quesito al Ministero del lavoro, per il quale si è in attesa di risposta.

Fintanto non giungano gli attesi chiarimenti, e’ stato comunque suggerito di versare l’intera quota maturata ai fondi (quota a carico datore di lavoro e quota a carico INPS) con recupero per il datore di lavoro a fine anno su versamento INPS. Questa logica soluzione permetterà di non penalizzare il lavoratore che ha inteso investire in un fondo il suo trattamento di fine rapporto.

Infine è da ricordsare che ,oltre a quelli con l’intervento della cigs ,operano anche i contratti di solidarieta’ disciplinati dall’art.5 ,comma 5 ,.della legge n.236/93 ,che ,interessando le aziende  non  destinatarie della disciplina sull’integrazione salariale straordinaria  , non comportano l’intervento  della cigs ,ma  del  contributo economico del Ministero del Lavoro ,pari al 50% dell’importo della retribuzione persa dai lavoratori per la contrazione dell’orario lsavorativo ,da ripartire alla pari tra  dipendenti  e datotri di lavoro.
La norma menzionata non fa cenno in merito aòlle quote di tfr collegate al monte retributivo non percepito dai òlavorstori per l’attuazione per questa tipologia di solidarieta’-
La mancanza di disposizioni in proposito porterrebbe a concludere che le quote di TFR  in tale ipotesi non maturano.

PUBBLICATO IN GAZZETTA UFFICIALE DPCM ASSUNZIONI STAGIONALI EXTRACOMUNITARI ANNO 2013

26/03/2013

Dalle ore 8 del 26 marzo alle ore  24 del 31 dicembre 2013 possono essere presentate on line le domande per le assunzioni di cui al titolo,previste dal DPCM del 15 febbraio scorso , che regolamenta appunto la rogrammazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l’anno 2013,che risulta pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.71 del 25.3.13,il cui testio si riporta di seguito,ricvordando che per la procedura on line si puo’ consultare il seguente sito:https ://nullaostalavoro.interno.it/Ministero/index2.jsp

Si segnala che in merito al nulla osta al lavoro, al fine di semplificare le procedure, la sottoscrizione del contratto di soggiorno sarà valevole ai fini della comunicazione obbligatoria.

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Art. 1 

  1. A  titolo  di  anticipazione  della  programmazione  dei  flussi
d'ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali per l'anno  2013,
sono ammessi in Italia, in  via  di  programmazione  transitoria  per
motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini  non  comunitari
residenti all'estero entro una quota di 30.000 unita',  da  ripartire
tra le regioni e le province autonome a cura del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali. 
  2. La quota di cui al comma 1  riguarda  i  lavoratori  subordinati
stagionali non comunitari di  Albania,  Algeria,  Bosnia-Herzegovina,
Croazia, Egitto, Repubblica delle Filippine,  Gambia,  Ghana,  India,
Kosovo, Repubblica ex Jugoslava  di  Macedonia,  Marocco,  Mauritius,
Moldavia, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia,  Sri
Lanka, Ucraina, Tunisia. 
  3. Nell'ambito della quota di cui al comma 1 e' riservata una quota
di 5.000 unita' per i lavoratori non comunitari, cittadini dei  Paesi
indicati al comma  2,  che  abbiano  fatto  ingresso  in  Italia  per
prestare  lavoro  subordinato  stagionale   per   almeno   due   anni
consecutivi e per i quali il datore di lavoro presenti  richiesta  di
nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale. 
Art. 2 

  Le disposizioni attuative relative  all'applicazione  del  presente
decreto - con particolare riferimento al nulla osta al  lavoro,  alla
sottoscrizione del  contratto  di  soggiorno  ed  alla  comunicazione
obbligatoria di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre
1996, n. 510, convertito, con modificazioni, con  legge  28  novembre
1996, n. 608 - saranno definite, in un'ottica di semplificazione, con
apposita  circolare  congiunta  del  Ministero  dell'interno  e   del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 

    Roma, 15 febbraio 2013 
 
 

CONTESTATI INDIRIZZI INPS CIRCA CONTRIBUZIONE RISOLUZIONI RAPPORTI LAVORO T.I.

26/03/2013

Il 24 scorso anche questo blog(https://francescocolaci.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=25163&action=edit) ha  pubblicato e commentato la circolare Inps  n.44 del 22 marzo 2013  che  illustrato  le modalita’ operative da rispettare per il versamento della contribuzione prevista dall’art 1 comma 31 della legge n.92/12 in caso di rosoluzioni di rapporti di lavoro  a tempo indeterminato intervenute dall’1.1.2013

L’esame delle istruzioni operative dell’Istituto  ha suscitato   reazioni   tutt’altro  favorevoli   tra gli operatori ,i professionisti ed i rappresentanti delle associazioni datoriali, che hanno ritenuto di individuare in talune delle indicazioni   fornite una forzatura interpretativa   rispetto alla  previsione normativa,che in particolare riguardano   agli aspetti  evidenziati    di seguito .

 

 Contribuzione per rapporto a tempo parziale

Tascurando ogni principio di proporzionalita’ che dovrebbe trovare applicazione a seconda che si tsatti di lavoro a tempo pieno ovvero parziale, secondo l’Inps ,il contributo è scollegato all’importo della prestazione individuale; conseguentemente, lo stesso è dovuto nella misura indicata, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro cessato (full time o part time),perche nella disposizione non si fa alcun espresso richiamo in proposito .Perttano si avra’ che si dovra’ versare lo stesso contributo sia per un part time di poche ore alla settimana  ,che per un dipendente che lavora ad orario intero settinìmanale

Contribuzione per rapporti di durata inferiore a 12 mesi

 La  querelle investe  pure la contribuzione per la risoluzione dei irapporti di lavoro inferiori ai dodici mesi ,rispetto a cui l’Inps prevede che  il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro ed  a tal fine considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario,precisando che   per  un rapporto di 10 mesi, ad esempio, l’importo da versare nel 2013 sarà pari a € 403,16.Sul punto viene obiettato che il legislsatore della riforma del lavoro nulla ha detto in proposito e quindi ,applicando il noto  principio  secondo cui quando ha voluto dire ,la legge l’ha detto ,mentre se ha taciuto ,significa che non l’ha voluto, per raspportoii durati meno di 12 mesi non si dovrebbe versare il contributo poiche’ la norma tace circa il riproporzionamento in riferimento al mese ,che si afferma è un’invenzione dell’Istituto,che pero’ si ripercuote sui bilanci delle  imprese in termini  di aggravio  del costo  del lavoro.

Ci sara’ anche per i due predetti aspetti  un ripensamento dell’Inps ,cosi’ come avvenne per  il lavoro domestico , rispetto a cui l’Istituto convenne che per la risoluzione dello   stesso non  è dovuto il contributo?

Si tratta di aspettare e vedere cosa succede!

SENTENZA CASSAZIONE :ILLEGITTIMITA’ TRASFERIMENTO LAVORATORE CHE ASSISTE FAMILIARE DISABILE

26/03/2013

La Sentenza di cui al titolo  porta il numero 9201 ,decisa il 3 aprile 2012 e depositata il 7 giugno 2012,puo’ dirsi innovativa ,.in riferimento allo stato della previsione della legge n.104/92 all’epoca a cui si riferisce il fatto oggetto di ricorso al giudice , risalente al 2007..

Per il testo della sentenza cliccareLa Sentenza n. 9201/2012

Con tale decisione  si è stabilito che il datore di lavoro non può trasferire d’imperio un lavoratore che assiste un proprio congiunto con disabilità, anche se non grave. Infatti, la Corte ricorda che già ai sensi dell’art. 2103 del codice civile qualsiasi lavoratore “non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” e che tali ragioni, quindi, vadano adeguatamente provate dal datore di lavoro.

Tra l’altro, nel caso di lavoratore che assite una persona con disabilità le esigenze del datore di lavoro dovrebbero essere bilanciate rispetto alle esigenze del lavoratore, in virtù del fatto che tale potere datoriale deve essere esercitato in ossequio ai più ampi poteri di solidarietà sociale e di sostegno rispetto alle famiglie che hanno al proprio interno un componente con disabilità secondo le norme proprie della Costituzione e, adesso, dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata initalia con Legge n. 18/2009.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva ritenuto di poter agire senza alcun consenso del proprio lavoratore, in considerazione del fatto che la persona con disabilità da assistere non era stata riconosciuta in “stato di handicap grave” ai sensi dell’art. 3 c.3 Legge n. 104/1992; ma la Corte ha ricordato che al tempo del trasferimento (1997) non era neppure richiesta (ai sensi del vecchio testo dell’art. 33 c. 5 Legge n. 104/1992) tale connotazione di gravità. Oggi è pur vero che la norma, nel frattempo novellata dal Collegato Lavoro (Legge n. 183/2010), richiede espressamente la connotazione di gravità per il rifiuto del lavoratore al trasferimento d’ufficio, ma al tempo stesso l’indicata sentenza evidenzia anche che, in assenza di tale gravità, comunque il datore di lavoro nnon è automaticamente libero di trasferire un proprio dipendente, specie quando all’interno del bilanciamento delle esigenze produttive da una parte e familiari dall’altra, l’ago della bilancia, in assenza di circostanziate prove a sostegno delle prime, pende maggiormente a favore del lavoratore che si fa carico di un compito così socialmente rilevante quale l’assistenza alle persone con disabilità ed il sostegno ad una vita quanto più autonoma possibile per le stesse.

COMUNICATO MINISTERO LAVORO SU NUOVI SERVIZI IN MATERIA PENSIONE

25/03/2013

 In data 20 marzo 2013 ,il Ministero del Lavoro ha comunicato l’istituzione di tre nuovi servizi in corso di attivazione

Il percorso verso una maggiore trasparenza e una più completa informazione sul futuro previdenziale dei lavoratori italiani si arricchisce oggi di tre nuovi servizi che saranno attivati nelle prossime settimane, in stretta collaborazione tra il Ministero del Lavoro, l’INPS e l’Adepp, l’Associazione delle Casse previdenziali che gestiscono la previdenza obbligatoria dei liberi professionisti.

Si tratta di un percorso di conoscenza del proprio conto pensionistico, necessario per porre le basi per la consapevolezza della prestazione previdenziale e delle variabili che rendono possibile il calcolo o la proiezione.

Il percorso è scandito da un calendario preciso, articolato in tre distinte fasi: la prima riguarda l’operazione “Estratto Conto Integrato”; la seconda è il rilascio del servizio “Calcolatore della pensione; la terza sarà la definizione del servizio” Simulatore della pensione.

 

L’Estratto Conto Integrato (ECI)

In Italia esiste una platea stimata di 5-6 milioni di lavoratori che hanno contributi previdenziali versati in differenti gestioni Inps o presso diverse Casse previdenziali. Per assicurare una completa informazione (e un possibile controllo) dello stato della loro contribuzione previdenziale è stato avviato il progetto “Estratto conto integrato” (ECI), che fornirà la visione completa della contribuzione previdenziale individuale, con un’unica operazione di consultazione.

Lo scorso anno, in via sperimentale, un campione di 100mila lavoratori, che si trovano in questa situazione, hanno avuto la possibilità di consultare online il loro ECI, tramite il sito dell’ente previdenziale presso cui attualmente versano i contributi. Oltre alla consultazione era possibile fornire – con una interfaccia online – le indicazioni circa eventuali “buchi” o incongruenze.

Grazie alla collaborazione tra Inps e Casse previdenziali un altro milione di cittadini – entro il mese di aprile – potrà usufruire dello stesso servizio, consultando tutti i periodi riguardanti la posizione assicurativa del contribuente, anche se maturati presso enti, casse, fondi e gestioni diverse, inclusi i periodi figurativi, i riscatti e le ricongiunzioni.

L’ECI potrà essere consultato sui portali degli enti che forniscono le informazioni previdenziali al Casellario dei Lavoratori Attivi, istituito presso l’Inps (Inps, Enasarco e Casse previdenziali degli ordini professionali). Ciascun contribuente potrà verificare la propria posizione contributiva on line, con accesso personalizzato, sul portale dell’ultimo Ente in cui risulta iscritto. Il servizio è interattivo e permette la segnalazione di eventuali problemi e incongruenze, che vengono indirizzate all’ente di competenza.

 

Calcolatore della pensione

A partire dal prossimo mese di aprile sarà attivata sul sito dell’Inps (tra i servizi online) una procedura denominata “Calcolatore della pensione” che consentirà agli iscritti all’Inps di conoscere in via previsionale la data del proprio pensionamento e l’importo presuntivo della pensione.

Nella prima fase (da aprile) potranno accedere al servizio solo i lavoratori iscritti all’Inps nati prima del 31 dicembre 1955, che sono in possesso di contribuzione accreditata in una sola delle seguenti gestioni:

– Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti;

– Gestioni Speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti);

– Gestione separata.

 

Solo per coloro che hanno contributi accreditati sia nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti sia nella Gestione separata, il servizio consente anche il calcolo della pensione in regime di totalizzazione tra le due gestioni.

Il servizio non potrà essere utilizzato da chi è già titolare di pensione. Nei prossimi mesi il servizio verrà progressivamente attivato in modo da renderlo disponibile a tutti i lavoratori in prossimità del conseguimento dei requisiti di pensione.

 

Simulatore della pensione

Per i lavoratori più giovani, per i quali la lontananza dal momento della pensione non consente di formulare ipotesi sufficientemente attendibili di calcolo della pensione (troppe le variabili: l’evoluzione retributiva individuale, gli anni e la continuità del lavoro, la scelta del periodo di pensionamento, etc.), è in corso di realizzazione una procedura che consentirà comunque di eseguire una simulazione del calcolo della propria pensione. Il rilascio del servizio avverrà entro la fine del corrente anno.

Partendo dall’estratto conto dei contributi effettivamente versati all’Inps, il “Simulatore della pensione” fornirà ai lavoratori più giovani uno strumento in grado di elaborare differenti scenari previdenziali (sulla base di profili codificati) proiettando ipotesi collegate all’atteso futuro lavorativo.

I lavoratori più giovani avranno così a disposizione, entro la fine dell’anno, uno strumento fondamentale di educazione al risparmio previdenziale e di grande valore formativo, che potrà fornire indicazioni utili per compiere con maggiore consapevolezza le scelte che si troveranno a dover compiere nel loro futuro lavorativo e nell’eventuale scelta di forme di integrazione previdenziale.

SENTENZA CASSAZIONE LICENZIAMENTO COLLETTIVO BASATO CRITERIO PENSIONAMENTO LAVORATORI

25/03/2013

Si richiama l’attenzione sulla sottoriportata Sentenza 20 marzo 2013, n. 6959 con cui la Corte di cassazione ha definto il ricorso di un dipendente in materia di licenziamento collettivo  in cui  la  scelta del personaleda porre in mobilita’  si basava esclusivamente  sulla  prossimità alla pensione ,che e’ stato  disconosciuto essere scorretto in  riferimento alla fasttispecie trattata

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza della Corte di appello di Bari n. 41/2009 del 5 marzo 2009, in accoglimento dell’appello proposto da A. M. avverso la sentenza resa dal Tribunale, giudice del lavoro, di Foggia fra il predetto e la C. S.p.A., veniva dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società al M. in data 26 giugno 2003 con conseguente ordine alla C. di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno commisurato alle mensilità della retribuzione globale di fatto maturate dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione nonché al versamento per lo stesso periodo dei contributi previdenziali e assistenziali. La Corte territoriale riteneva che la procedura collettiva che aveva interessato il M. presentasse anomalie sotto vari profili. Rilevava che la stessa era consistita in due soli atti formati nell’arco di un unico giorno e cioè la comunicazione ai sensi degli artt. 4 e 24 l. 223/91, recante la data dell’11 luglio 2002, indirizzata alla Regione Puglia, Assessorato al lavoro e alle politiche attive, e alle organizzazioni sindacali, ma vistata da queste ultime “per ricevuta” lo stesso 11 luglio 2002 ed un contratto di solidarietà, stipulato in pari data, che, sul presupposto dell’enunciata analisi della crisi della C. dava avvio alla procedura dì mobilità ed alla riduzione del personale, laddove gli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 tracciavano un articolato percorso, a partire dalla comunicazione iniziale alle rappresentanze sindacali aziendali ed alle rispettive associazioni di categoria. Riteneva che, pur ipotizzando il raggiungimento di una intesa con ì sindacali maturata all’esito della prima fase necessaria, non poteva prescindersi dall’iter ordinario secondo lo schema dell’esame congiunto fra le parti, entro sette giorni, per la discussione circa le cause della crisi, segnalata in precedenza dal datore di lavoro nei dettagli e con i motivi richiesti dalla legge per la regolarità della comunicazione prodromica, e per l’adozione dei rimedi possibili ovvero per l’individuazione delle misure sociali finalizzate alla riqualificazione e alla riconversione dei lavoratori eccedentari; esaurimento di tale fase consultiva entro quarantacinque giorni e comunicazione dell’esito all’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Riteneva, pertanto, che la comunicazione dell’ 11 luglio 2002 (l’effettività dell’inoltro della quale all’Assessorato regionale al lavoro ed alle politiche attive non era stata provata dalla società) integrasse un atto solo apparente, in violazione di una procedura imposta da norme inderogabili, dovendo escludersi l’attribuzione di ogni efficacia sanante alla stipulazione dell’accordo sindacale. In ogni caso rilevava una totale inadeguatezza della comunicazione in data 11 luglio 2002 a soddisfare i requisiti di legge, limitandosi la stessa ad una mera indicazione numerica degli esuberi, per ciascuna delle tre province interessate (Bari, Lecce e Foggia), senza alcun riferimento alle altre prescrizioni di contenuto di cui all’art. 4. Da ultimo rilevava che la procedura adottata dall’azienda aveva conseguito un risultato del tutto incoerente, atteso che, con l’applicazione in via esclusiva del principio della pensionabilità, senza alcuna distinzione tra le categorie di appartenenza del personale esodato, si era reciso il nesso fra le esigenze tecnico/produttive dell’azienda e i nominativi dei dipendenti licenziati.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C. S.p.A. in amministrazione Straordinaria affidandosi a sei motivi.

Resiste con controricorso l’intimato A. M. e formula ricorso incidentale condizionato cui resiste la società con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza sono stati riuniti ex art. 335 cod. proc. civ..

2. Con primo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della legge 22 luglio 1991 n. 223, commi da 2 a 15 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)”. Deduce che lo spirito dell’impianto normativo e la ratio della procedura disciplinata dall’art. 4 della legge è nel senso che l’accordo tra le parti sociali sui criteri di scelta (che eviti o per lo meno riduca gli esuberi esistenti) avvenga il prima possibile con la conseguenza che la realizzazione di siffatto accordo nello stesso giorno non comporta alcuna violazione di legge né l’invalidità dei licenziamenti.

3. Il motivo, o meglio il quesito formulato all’esito dell’esposizione del motivo, in realtà, non è conferente rispetto al decisum della Corte territoriale.

Quest’ultima, infatti, ha esaminato la fattispecie proprio alla luce delle regole (adempimenti e termini contemplati e scadenzati dalla legge n. 223/91) che, oltre a delineare un istituto giuridico di diritto sostanziale, configurano la ”procedura” di licenziamento collettivo e, con motivazione approfondita, ha esposto le ragioni per cui la concreta attuazione fattane dalla C. S.p.A. risultava talmente divergente dall’articolato meccanismo da rendere addirittura difficile ricondurre la vicenda alla fattispecie legale e comunque alla sua disciplina procedimentale.

Nella lettura della vicenda portata alla sua attenzione, non vi è stato da parte della Corte barese un rifiuto puro e semplice dì una lettura sostanziai istica della normativa di cui si discute (che, peraltro, trova un limite legale nella sanzione comminata dal dodicesimo comma dell’art. 4 della legge n. 223/1991), ma la rituale applicazione di principi ormai consolidati secondo i quali il rispetto delle regole di cui all’art. 4 realizza Io scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede – cfr. ex multis Cass. n. 18177 del 10 agosto 2009; id. n. 168 del 8 gennaio 2009 -; cosicché il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad una scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall’accordo sindacale (annullamento del licenziamento). In sostanza, la riduzione del personale è disciplinata nella legge n. 223/1991 proprio come una “operazione imprenditoriale procedimentalizzata” nel senso che la libertà dell’imprenditore di operare tagli sul personale per trasformare o ridurre o persino cessare l’attività dell’impresa, benché insindacabile quanto all’art. viene vincolata nel quomodo agli esiti di un negoziato, libero nella conclusione, ma doveroso quanto al comportamento negoziale delle parti.

Le regole procedurali presiedono pur sempre ad un interesse strumentale, quello al corretto uso dei poteri imprenditoriali, scevro da intenti punitivi o di discriminazione vietata. Dunque, il rispetto delle forme e delle procedure ha una valenza in sé, quasi in funzione surrogatoria del controllo di merito, escluso a priori. Come tale, va ascritto alla categoria della tecnica di controllo dei poteri privati, più esattamente della tecnica del “giusto procedimento”, di cui costituisce uno degli esempi più pregnanti a livello legislativo: il titolare dì un potere privato prima di esercitarlo deve seguire determinate regole procedurali che hanno lo scopo di influenzare il contenuto discrezionale dell’atto terminale del procedimento in cui si sostanzia il potere privato in questione, affinché esso tenga conto anche degli interessi dei destinatari dell’atto medesimo (cioè dei lavoratori dipendenti).

Ed allora la questione non può essere quella se sia auspicabile raggiungere nel più breve tempo possibile o addirittura nello stesso giorno dell’avvio della procedura un accordo tra azienda e sindacati in quanto la Corte territoriale non ha affermato alcun principio confliggente con questa affermazione laddove ha stigmatizzato l’anomalia di una procedura caratterizzata da un singolare accorciamento dell’iter procedimentale e dalla mancanza di elementi essenziali, primo fra tutti, la stessa comunicazione di avvio della procedura ed ha escluso ogni valenza di un accordo intervenuto al di fuori delle regole procedurali dettate dalla legge n. 223/1991.

Nella specie, la Corte barese dopo aver premesso che, anche ipotizzando che l’intesa con i sindacati possa maturare già all’esito della prima fase necessaria, ha ricostruito correttamente l’iter ordinario previsto dalla citata legge nei seguenti imprescindibili passaggi: esame congiunto fra le parti, entro sette giorni, per la discussione circa le cause della crisi, segnalata in precedenza dal datore di lavoro nei dettagli e con i motivi richiesti dalla legge per la regolarità della comunicazione prodromica, e per l’adozione dei rimedi possibili ovvero per l’individuazione delle misure sociali finalizzate alla riqualificazione e alla riconversione dei lavoratori eccedentari; esaurimento di tale fase consultiva entro quarantacinque giorni e comunicazione dell’esito all’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Quindi ha rilevato la mancanza della stessa comunicazione di avvio della procedura (risultata solo indirizzata alla Regione Puglia, Assessorato regionale al lavoro e politiche attive ma a quest’ultimo mai pervenuta) ed in ogni caso sottolineato che tale procedura, in modo del tutto inconsueto, si era esaurita in due soli atti formati in un unico giorno (e cioè la comunicazione ai sensi degli artt. 4 e 24 I. 223/91, recante la data dell’11 luglio 2002, indirizzata – oltre che alla Regione Puglia, Assessorato al lavoro e alle politiche attive -, e alle organizzazioni sindacali, ma vistata da queste ultime “per ricevuta” lo stesso 11 luglio 2002 ed un contratto di solidarietà, stipulato in pari data, che, sul presupposto dell’enunciata analisi della crisi della C., aveva dato avvio alla procedura di mobilità ed alla riduzione del personale). Ciò ha fatto non certo omettendo di considerare la produzione documentale della C. cui quest’ultima fa specifico riferimento in sede dì ricorso (e cioè la comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9, legge n. 223/1991 e la notifica della risoluzione del rapporto al M. con racc.te datate 26/6/2003) ma anzi ritenendo che proprio dall’esame di quei due atti, e specialmente del primo, si poteva ricavare la natura fittizia della procedura di licenziamento (si veda il passaggio motivazionale In cui la Corte territoriale sottolinea l’inutilità del brano conclusivo della comunicazione dell’11/7/2002, indirizzato all’Assessorato regionale al lavoro e alle politiche attive, in cui la C. annunciava un incontro sindacale “a breve” e chiedeva la convocazione delle parti con urgenza, per espletare gli adempimenti della procedura di mobilità “con la massima sollecitudine”, nel caso in cui non fosse stato acquisito “il consenso delle organizzazioni sindacali”, da ciò desumendo ulteriormente la natura solo apparente di tale comunicazione).

Anche con riferimento agli Accordi ministeriali del 2/5/2002 e dell’1/7/2002 la Corte barese ha dato conto del fatto che, rispetto all’articolazione del testo della norma, la comunicazione della C. risultasse del tutto inadeguata, atteso che, riprodotta la premessa dei pregressi accordi ministeriali circa il motivo del mutamento degli obiettivi della principale committente s.p.a. F. e richiamate tali intese, conteneva soltanto una indicazione numerica degli esuberi, per ciascuna delle tre province interessate (Bari, Lecce e Foggia), e nient’altro.

Inoltre, puntualmente esaminati nel loro contenuto gli accordi in parola, siglati (senza la partecipazione della C.), quando si avviava “il processo di apertura al mercato” mediante “gare europee” dei servizi appaltati dalle “società del Gruppo F.S.”, ha ritenuto che gli stessi, già in ragione dei generici riferimenti contenuti alla “possibilità dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali previsti dalle vigenti normative” e della evidenziata necessità, nonostante le risorse messe a disposizione da F.S., di “intervenire sulla forza lavoro” senza indicazioni più specifiche di un mero cenno alle “maestranze occupate nella Regione Puglia”, non potessero essere ricondotti alla crisi aziendale della C.; tali accordi, pertanto, intervenuti prima della comunicazione di avvio della procedura collettiva di riduzione del personale alle dipendenze della stessa C., non erano idonei ad esplicare, ad avviso della Corte territoriale, alcun effetto in funzione sostitutiva e nemmeno integrativa degli adempimenti imposti dalla legge n. 223/91.

Con un percorso argomentativo assolutamente rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie esaminata, la Corte di merito è, dunque, pervenuta alla conclusione che non vi fosse stato da parte della società l’adempimento di quell’obbligo di allegazione preventiva delle condizioni che giustificano il ricorso alla procedura di mobilità; ne era derivato un vizio della procedura e dell’atto di recesso intimato in esito alla stessa. Ciò in modo assolutamente coerente con la premessa che la regolarità di tale procedura, posta a presidio della trasparenza e della congruità dell’esercizio del potere datoriale, rappresenta un momento ineludibile affinché il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi. Tale legittimo esercizio si coniuga, infatti, con l’esigenza, concreta, di rendere lo stesso immune da ogni intento discriminatorio attraverso la predisposizione sin dall’inizio di un progetto nel quale i lavoratori da licenziare o da porre in mobilità siano individuabili e riconoscibili (si è fatto da questa Corte riferimento ad una sorta di identificazione “fotografica” dei dipendenti prescelti per la mobilità – così Cass, 29 dicembre 2004 n. 24116 – ; si veda anche Cass. n. 10716 del 30 ottobre 1997 secondo cui: «Nel caso di licenziamento per riduzione dell’attività produttiva effettuato a norma dell’art. 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la procedura prevista nei commi da secondo a dodicesimo di detto articolo, il cui rispetto si pone come condizione di efficacia del licenziamento ai sensi del successivo articolo 5 della stessa legge, non può considerarsi osservata da una comunicazione del datore di lavoro contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, nonché un semplice cenno a precedenti incontri con le organizzazioni sindacali, solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, imponendo la menzionata legge al datore di lavoro un onere di dettagliate indicazioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell’opportunità di chiedere l’esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (e riguardanti, secondo la dettagliata indicazione della legge, i motivi della situazioni di eccedenza e quelli, di carattere tecnico organizzativo e produttivo che non consentono l’adozione di misure atte a porvi rimedio evitando in tutto o in parte la dichiarazione di mobilità; il numero, la collocazione aziendale e i profili personali dei lavoratori eccedenti; i tempi di attuazione del programma di mobilità; le misure programmate per fronteggiarne le conseguenze sul piano sociale)».

Con una comunicazione di avvio della procedura già in sé inadeguata (sulla mancata prova dell’invio di tale comunicazione si veda infra) quale quella in questione la società era venuta meno all’obbligo di effettuare (oltre che all’Ufficio provinciale del lavoro) alle organizzazioni sindacali una completa e trasparente informazione preventiva in ordine al piano di esubero strutturale rispetto alle esigenze produttive, in modo da consentire alle stesse la verifica dei dati relativi all’assetto occupazionale e alla effettiva necessità della procedura nonché di verificare il nesso tra le ragioni che avevano determinano tale esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intendeva concretamente espellere.

Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. nonché 414, 420 e 437 cod. proc. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Deduce che il M. si era limitato a prospettare nel ricorso introduttivo la mancanza della comunicazione di avvio della procedura e l’inidoneità del contratto di solidarietà a fungere anche da atto di avvio di tale procedura e non aveva tempestivamente contestato l’effettività dell’invio della citata comunicazione all’organismo pubblico regionale con la conseguenza che la C. non era tenuta a fornire alcuna prova di un fatto non contestato dall’attore.

Il motivo è infondato.

Non discutendosi di un atto inviato ai lavoratore (le comunicazioni di cui all’art. 4 della legge n. 223/1991 non sono mai estese ai lavoratori, che restano destinatari passivi degli effetti del procedimento), la mancata contestazione da parte del M. era irrilevante, ricadendo sulla società l’onere di provare l’avvenuto adempimento degli oneri di cui all’art. 4 mediante una comunicazione formalmente e ritualmente trasmessa.

Sul punto la Corte di merito ha evidenziato che la C. non aveva prodotto alcuna prova al riguardo e sottolineato che la fotocopia della missiva nel fascicolo della società non era corredata dai tagliandi della spedizione e della ricezione via posta, da una notificazione o da altra forma equipollente di consegna ed altresì aggiunto che vi era nella produzione del lavoratore la risposta (missiva 1/4/2004) fornita dall’Assessorato regionale alla di lui richiesta (missiva 5/3/2004) di accesso a “tutta la documentazione relativa alla procedura di riduzione di personale e licenziamento collettivo”, dalla quale, al contrario, sembrava evincersi che alla Regione Puglia la C. avesse trasmesso soltanto “la copia del verbale … relativo ad un contratto di solidarietà” e non anche la formale comunicazione di avvio della procedura.

Correttamente e legittimamente, dunque, al fine di stabilire la verità materiale, la Corte barese ha utilizzato tale missiva prodotta dal lavoratore quale prova integrativa di una circostanza negativa che la società avrebbe dovuto far risultare in positivo.

6. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della legge 22 luglio 1991 n. 223, commi 2 e 3 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)”. Deduce che eventuali incompletezze o inadempienze nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma. Della legge n. 223 del 1991 possono essere fatte valere solo dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi dimostrino la idoneità in concreto di siffatte informative a fuorviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute per essi lavoratori pregiudizievoli. Rileva che la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine (gestione contrattata della crisi), per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione ai sensi dell’art. 4.

7. Anche tale rilievo è infondato.

Come è stato da questa Corte più volte affermato, in tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, la procedura disciplinata dall’art. 4 della legge n. 223/1991 è diretta sia a consentire una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato, sia a rendere trasparente il processo decisionale datoriale, in funzione della tutela dell’interesse del lavoratore potenzialmente destinato ad essere ad essere estromesso dall’azienda. Ne consegue che la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dal citato art. 4 determina, insanabilmente, l’inefficacia dei successivi licenziamenti ed il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza della comunicazione ed il conseguente vizio del licenziamento (cfr. ex multis tra le più recenti Cass. n. 5034 del 2 marzo 2009, id. n. 5582 del 6 aprile 2012).

E’ stato egualmente sancito da questa Corte (si veda Cass. n. 14679 del 13 novembre 2000; id. n. 3261 del 10 febbraio 2009) che le eventuali insufficienze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità non perdono rilievo per il solo fatto che sia stato poi stipulato un accordo di mobilità, giacché gli adempimenti imposti dal citato art. 4, sono intesi a garantire la trasparenza delle scelte aziendali e l’effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una corretta e completa informazione preventiva (così anche Cass. n. 4228 del 5 aprile 2000 nonché Cass. n. 9743 del 18/07/2001 per la quale l’inefficacia del licenziamento – che ricorre, come precisato, in caso di omissione della comunicazione per iscritto, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria nonché all’Ufficio provinciale del lavoro, contenente l’indicazione dei motivi dell’eccedenza e di tutti gli altri elementi prescritti dall’art. 4, comma 3, della citata legge – non è “sanata” dall’accordo sindacale comprensivo dell’individuazione dei lavoratori da licenziare. In linea con gli indicati principi è stato anche affermato che in tema di procedura di mobilità, la previsione, di cui alla legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 8, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con cui dà inizio alla procedura, deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione, le sue “modalità applicative”, in modo che la stessa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva, sostenendo che, sulla base del comunicato criterio di selezione, altri lavoratori – e non lui – avrebbero dovuto essere collocati in mobilità o licenziati (cfr. in tal senso Cass. n. 15377 del 9 agosto 2004; id. n. 20455 del 21 settembre 2006; n. 23275 del 8 novembre 2007; n. 21138 del 5 agosto 2008).

Risulta, inoltre, superato dalla giurisprudenza di questa Corte l’indirizzo secondo il quale poiché il lavoratore non è destinatario della comunicazione di avvio della procedura e non è abilitato a partecipare all’esame della situazione di crisi e a proporre soluzioni della stessa, non può far poi valere in giudizio, a propria tutela, in ogni caso, l’inadeguatezza della comunicazione dovendo, invece, a tal fine provare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale (in tal senso Cass. n. 4228 del 5 aprile 2000). Questa Corte, infatti, con sentenza n. 13196 del 9 settembre 2003, seguita, poi, dalla n. 15479 dell’11 luglio 2007, cui va data continuità, ha affermato che il lavoratore è legittimato a far valere la incompletezza della informazione perché la comunicazione rituale, completa della mancanza di alternative ai licenziamenti, rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che se mancante è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. “L’ottica della decisione da cui si dissente prescinde, invece”, si è osservato nella citata sentenza, “dalla inscindibile connessione esistente fra completezza della informazione e ruolo assegnato al sindacato assegnando rilievo alla incompletezza della procedura solo ove essa si traduca in un comprovato nocumento per il lavoratore laddove – per le ragioni che si sono dette – la regolarità di tale procedura rappresenta un momento ineludibile affinché il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi”.

8. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia: “Insufficiente ed erronea motivazione (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) in relazione alle ragioni esposte sub motivo n. 3)”. Rileva che, contrariamente al decisum della Corte barese, quanto previsto a livello degli accordi ministeriali del settore appalti ferroviari del 2 maggio 2002 e dell’11 luglio 2002 è stato puntualmente attuato con la comunicazione aziendale dell’11 luglio 2002 e con l’accordo raggiunto in pari data e che proprio tenendo conto del contenuto di detti accordi ministeriali si possono agevolmente comprendere le ragioni per le quali le parti sociali hanno raggiunto rapidamente raccordo.

9. Il motivo è infondato per le stesse ragioni già illustrate con riferimento al primo motivo di ricorso.

La valutazione della Corte territoriale sulla inadeguatezza degli accordi suddetti ad esplicare alcun effetto in funzione sostitutiva e nemmeno integrativa degli adempimenti imposti dalla legge n. 223/1991 e, dunque, l’assoluta irrilevanza del richiamo agli stessi contenuto nella comunicazione aziendale dell’11 luglio 2002, traducendosi in una valutazione di fatto, è devoluta al Giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

Del resto, la società ricorrente non ha denunciato la violazione di criteri di ermeneutica contrattuale ma si è limitata a dedurre il vizio di motivazione senza però indicare le lacune argomentative, ovvero le illogicità consistenti nell’attribuzione agii elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure i punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti risolvendosi la sua critica nella mera contrapposizione di una propria valutazione di merito rispetto a quella operata dalla Corte di appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.

Quanto, poi, alla irrilevanza attribuita dalla Corte territoriale all’accordo di solidarietà dello stesso 11 luglio 2002 si richiama quanto già evidenziato con riguardo al terzo motivo di ricorso.

Con il quinto motivo la società ricorrente denuncia; “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 3 del D. Lgs. n. 469/1997 nonché degli artt. 4, comma 15 e 24 della legge n. 223/1991 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)”. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la normativa vigente in materia prevede espressamente l’ipotesi che la procedura interessi più unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione, stabilendo che in tal caso l’esame congiunto debba svolgersi presso l’amministrazione regionale.

Il motivo resta assorbito dalla maggior violazione datoriale consistita – come ritenuto dalla Corte di merito – nell’avvenuta rituale trasmissione della comunicazione di avvio della procedura soltanto alle organizzazioni sindacali.

Con il sesto motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, della legge n. 223/1991”. Censura la decisione impugnata laddove ha ritenuto l’illegittimità del criterio di scelta pattuito nell’accordo dell’11 luglio 2002 (prossimità all’età pensionabile).

13. Anche tale motivo è infondato.

Si osserva, infatti, che la Corte territoriale non ha mai affermato l’irrazionalità, in sé, del criterio adottato ma ha evidenziato che tale criterio, “per come la C. lo ha applicato”, procurava nella sequenza costituita da “necessità aziendali, tutele collettive e individuali dei lavoratori e atti vincolati” una frattura risultando “reciso il nesso fra le esigenze tecnico/produttive dell’azienda e i nominativi dei dipendenti licenziati”. Ciò ha fatto spiegando, in modo ineccepibile, che essendosi applicato in via esclusiva il principio della pensionabilità, senza alcuna distinzione tra le categorie di appartenenza del personale esodato e, dunque, solo prevedendosi indiscriminatamente un’identità tra anziani e personale eccedentario, in realtà non si fosse fissato alcun criterio, non riuscendosi più a configurare, con un risultato del tutto incoerente, il nesso con le esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell’azienda.

In effetti il criterio della pensionabilità (ovvero della prossimità alla pensione, da raggiungere comunque attraverso forme di sostegno del reddito) è già stato ripetutamente considerato legittimo dalla giurisprudenza, anche costituzionale e di legittimità.

La Corte Costituzionale, nel ritenere non in contrasto con l’art. 39 Cost. gli accordi sindacali “gestionali” ex art. 5 legge n. 223/1991, ha espressamente osservato: “per esempio la svalutazione del privilegio tradizionale dell’anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi alla al raggiungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza, può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro tale da escludere per i lavoratori più giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro posto di lavoro” (si veda Corte Cost. 30 giugno 1994, n. 268).

Anche questa Corte ha più volte giudicato valido e legittimo il criterio convenzionale del pensionamento, anche se adottato in via esclusiva (così Cass. n. 1760 del 2 marzo 1999: «il criterio prescelto appare del tutto razionale ed oggettivo … consente di formare una graduatoria rigida, e quindi di essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità»; id. Cass. n. 11875 del 9 settembre 2000: «il criterio … risponde a razionalità, anche considerando il sacrificio per i lavoratori a bassa contribuzione, perché ad esso corrisponde comunque il raggiungimento di una provvidenza economica pensionistica certa, inesistente per i giovani licenziandi … nel caso di specie il male minore è rappresentato dall’accesso alla prestazione pensionistica»; si veda, in senso conforme, anche Cass. n. 13393 del 13 settembre 2002; id. n. 12781 del 2 dicembre 2003).

Tuttavia tale criterio convenzionale, in sé ragionevole, per perseguire correttamente in uno con l’obiettivo della “riduzione del danno” o “male minore” quello della “trasparenza delle scelte aziendali” non può che essere adottato nell’ambito di una comparazione dei lavoratori “fungibili”. Diversamente, infatti, lo stesso ben potrebbe essere utilizzato a mero scopo discriminatorio in violazione dei principi di correttezza e buona fede.

Se, infatti, come da questa Corte già affermato: «In tema di licenziamento collettivo, il doppio richiamo operato dall’art. 5, comma 1, legge n. 223 del 1991 alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale, assolve alla funzione, quanto alla previsione contenuta nella prima parte della norma, di delimitare, in ragione dei motivi posti a fondamento della riduzione di personale, l’ambito entro il quale dovrà essere operata la scelta dei lavoratori e, quindi, in riferimento ai posti soppressi, mentre il secondo – contenuto nei concreti criteri di scelta – opera, una volta determinato il suddetto ambito, con riguardo alla individuazione dei singoli posti di lavoro rimasti dopo la soppressione» – cfr. Cass, n. 1938 del 27/01/2011 -, il criterio della prossimità alla pensione, scelto come unico criterio, non può prescindere dalla funzionalizzazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell’azienda.

Come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in un accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità), poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla legge n. 300 del 1970, art. 15 ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori.

Tale finalità deve essere perseguita in modo “imparziale”, senza immotivate discriminazioni tra i dipendenti e cercando di ridurre al minimo il cosiddetto “impatto sociale”, scegliendo, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle esigenze oggettive a fondamento della riduzione del personale, di espellere ì lavoratori che, per vari motivi (questa volta principalmente soggettivi e “personali”), subiscono ragionevolmente un danno comparativamente minore. Occorre quindi garantire contemporaneamente sia la coerenza del licenziamento collettivo con la sua legittima finalità (evitare cioè un “eccesso” o “sviamento” del potere datoriale), sia l’obiettivo (complementare) della tendenziale riduzione al minimo del cosiddetto “impatto sociale”. La procedura concorsuale di tipo espulsivo dovrebbe, così, condurre a: 1) licenziare solo ed esclusivamente quei lavoratori che, in relazione all’attività da loro svolta ed in connessione con i “motivi tecnici organizzativi e produttivi”, sono in effetti obiettivamente necessari per eliminare la “eccedenza dei personale”; 2) in tale “ambito” a licenziare i lavoratori che ragionevolmente subiranno un danno comparativamente minore, selezionandoli sulla base di criteri generali, imparziali.

La individuazione dei licenziandi deve quindi necessariamente procedere per gradi successivi, attraverso una fase essenziale di preliminare definizione del cosiddetto “ambito di applicazione” (ovvero la predeterminazione quantitativa e qualitativa della “eccedenza”) cui deve seguire poi l’adozione dei “criteri di scelta”, per selezionare, in concreto, i singoli lavoratori che, rientrando in tale area di “eccedenza”, sono, per un ragionevole motivo, licenziabili comparativamente con minor danno “sociale”.

Nel caso in questione, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale in applicazione dei principi esposti, la mancata distinzione, in sede di determinazione pattizia, tra le categorie di appartenenza del personale esodato non consentiva di rapportare la scelta rispetto alla predeterminazione quantitativa e qualitativa dell’eccedenza, realizzandosi così un risultato del tutto incoerente, nel senso che il criterio di scelta finiva per colpire indistintamente tutti i dipendenti.

14. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso principale va rigettato, con assorbimento di quello incidentale condizionato.

15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, dovendo farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140. Al riguardo va precisato che l’art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27, dispone: “1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. 2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data dì entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (omissis) 3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Con Decreto 20 luglio 2012, n. 140, è stato, quindi, emanato il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del citato articolo 9. Il Regolamento trova applicazione in difetto di accordo tra le parti in ordine al compenso (art. 1 d.m. 140/2012 in riferimento all’art. 9, comma 4, di. n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27). L’art. 41 di tale Decreto n. 140/2012, aprendo il Capo VII relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.

Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell’art. 41 citato (“le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”) depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell’abrogato sistema tariffario forense.

Nel nuovo sistema, che non prevede più la distinzione tra diritti e onorari, ma esige che la valutazione dell’opera del professionista avvenga per fasi processuali (artt. 4 e 11) e secondo parametri specifici (art. 11 e tabella A-Avvocati), l’apprezzamento dell’attività difensiva, alla stregua dei criteri di cui al secondo e terzo comma dell’art. 4, non è più correlato al momento in cui l’opera è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice.

Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l’applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all’entrata in vigore del d.m. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all’art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al comma terzo dell’art. 9, del n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27, che ha – con chiarezza – escluso l’ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine (di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato.

Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nel menzionato art. 4 del D.M. e non ravvisandosi elementi che giustifichino un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 3.000,00, oltre euro 50,00 per esborsi.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorso; rigetta il ricorso principale con assorbimento di quello incidentale; condanna la C. S.p.A. al pagamento, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in euro 50,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi oltre IVA e CPA.

MISURE PER PAGAMENTO CREDITI FORNITORI P.A.

25/03/2013

Le misure per l’accelerazione del pagamento dei debiti della PA verso i propri fornitori

Il Presidente del Consiglio ha tracciato il quadro della lunga e complessa azione svolta dal Governo in sede di Consiglio europeo e in dialogo con la Commissione europea a partire dal novembre 2011. Tale azione, strettamente connessa con l’intenso processo di risanamento finanziario in Italia, ha consentito una graduale e difficile opera di persuasione sull’opportunità di rendere meno angusti e più razionali, in sede di completa applicazione, i principi in tema di disciplina di bilancio.

Il Ministro dell’economia, sentito il Ministro degli affari europei, ha illustrato la relazione con cui il Governo intende informare il Parlamento sulle misure per favorire l’accelerazione del pagamento dei debiti della PA verso i propri fornitori e dell’impatto sulla crescita dell’economia e sull’andamento dei conti pubblici per gli anni 2013 e 2014.

Sin dal suo insediamento, nel novembre 2011, il Governo ha individuato i ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione come una pratica inaccettabile per i corretti rapporti tra pubblica amministrazione e imprese e come un grave danno per le imprese già colpite dalla difficoltà di accedere al credito bancario nel contesto della crisi. Una pratica che, nei pagamenti di beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni pubbliche, ha portato nel corso degli anni all’accumularsi di uno stock di ritardati pagamenti che ha acquisito dimensioni considerevoli. Nel contesto di un forte e rapido consolidamento fiscale, tuttavia, gli spazi per una rapida liquidazione dello stock di debiti pregressi erano fortemente limitati dalla necessità di rispettare gli impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea nel quadro del Patto di Stabilità e Crescita. Secondo le regole di contabilità europee, infatti, la liquidazione dei debiti commerciali pregressi determina un conseguente aumento del debito pubblico.

INDICAZIONI INAIL PER INDIVIDUARE PARTITE IVA GENUINE

25/03/2013

Le indicazioni di cui al titolo ,che discendono dalle novita’ apportate alle attivita dei titolari di partite Iva dalla riforma Fornero sono contenute nella circolasre sottostante INAIL n.14/13.

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Organo: DIREZIONE GENERALE – DIREZIONE CENTRALE RISCHI
Documento: Circolare n. 15 del 20 marzo 2013
Oggetto: L. 92/2012 (c.d. Riforma lavoro) – Art. 69 bis, d.lgs. 276/2003 – partite Iva – indicazioni operative. Obbligo assicurativo. Disciplina contributiva.

 

Quadro Normativo

Decreto del Presidente della Repubblica 1124 del 30 giugno 1965: “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali” (G.u. n. 257 del 13 ottobre 1965);

Decreto del Presidente della Repubblica 633 del 26 ottobre 1972 “ Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto” (G.u. n. 292 dell’11 novembre 1972);

Legge 233 del 2 agosto 1990 “ Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi (G.u. n. 188 del 13 agosto 1990);”

Legge 335 dell’8 agosto 1995 “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare” (G.u. n. 190 del 16 agosto 1995);

Decreto legislativo 38 del 23 febbraio 2000 : ”Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della l. 17 maggio 1999, n. 144” (G.u.  n. 50 del 1° marzo 2000);

Decreto legislativo 276 del 10 settembre 2003: “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla l. 14 febbraio 2003, n. 30 ”. (G.u. n. 235 del 9 ottobre 2003);

Decreto legge n. 83 del 22 giugno 2012 “Decreto convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012, n. 134 – Misure urgenti per la crescita del Paese” (Decreto Sviluppo – G.u. n. 147 del 26 giugno 2012);

Legge 92 del 28 giugno 2012: “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” (G.u. n. 153 del 3 luglio 2012, Riforma del lavoro);

Decreto ministeriale 20 dicembre 2012 “Presunzione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 69-bis, comma 1, d.lgs. 276/2003: ambito di non applicazione”;

Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 29 dell’11 dicembre 2012: “L. 92 /2012 (c.d. Riforma lavoro). Collaborazione coordinata e continuativa a progetto – indicazioni operative per il personale ispettivo”;

Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 32 del 27 dicembre 2012: “ L. 92 /2012 (c.d. riforma lavoro) – art. 69 bis, d.lgs. 276/2003 – partite Iva – indicazioni operative per il personale ispettivo”;

Circolare Inail 32 dell’11 aprile 2000 : “Assicurazione dei lavoratori parasubordinati”;

Circolare Inail 22 del 18 marzo 2004 : “Collaborazioni coordinate e continuative. Lavoro a progetto e lavoro occasionale. Applicazione della nuova disciplina;”

Circolare INAIL n. 42 del 5 settembre 2012: “Rivalutazione del minimale e del massimale di rendita a decorrere dal 1° gennaio 2012;”

Circolare Inail 13 del 19 febbraio 2013: “Collaborazione coordinata e continuativa a progetto alla luce delle modifiche apportate agli artt. 61 e segg. del d.lgs. 276/2003 dall’art. 1, commi 23-25 della l. n. 92 del 28 giugno 2012 (c.d. Riforma lavoro). Obbligo assicurativo.”

Premessa

La Riforma del lavoro ha introdotto l’art. 69 bis nel Decreto legislativo 276/20031 con l’obiettivo di contrastare il ricorso alle prestazioni dei titolari di partite Iva in regime di mono-committenza.

Ciò attraverso la previsione di presunzioni legali circa la sussistenza di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha chiarito i presupposti per attuare le nuove disposizioni, con la circolare 32/2012 cui ha fatto seguito il Decreto ministeriale 20 dicembre 2012 che individua, a titolo esemplificativo, albi, ruoli, registri ed elenchi la cui appartenenza esclude l’applicazione della presunzione.

1. Nozione di partita Iva

Come precisato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la partita IVA è un particolare strumento fiscale riservato, oltre che alle imprese, ai lavoratori autonomi ovvero a quei lavoratori che, ai sensi dell’art. 2222 c.c, si obbligano a compiere verso un corrispettivo un ‘opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Più nello specifico, secondo l’art. 35 del d.p.r. 633/1972, sono titolari di partita IVA i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione.

Il Ministero precisa, peraltro, che lo stesso strumento (ossia la partita Iva, n.d.r.) non è comunque precluso a soggetti che, sotto il profilo lavoristico, vedono inquadrate le proprie prestazioni nello specifico ambito della collaborazione coordinata e continuativa che – lo si ricorda – costituisce anch’essa una forma di lavoro autonomo.

2. Presunzione legale di collaborazione coordinata e continuativa

2.1 Presupposti

La Riforma2 stabilisce che il rapporto di lavoro instaurato con un titolare di partita Iva si presume di collaborazione coordinata e continuativa a progetto3, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, se sussistano almeno due dei seguenti presupposti, per i quali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito appositi approfondimenti4 e, in particolare:

a) Durata della collaborazione : tale periodo (da individuare nell’ambito di ciascun anno civile dal 1° gennaio al 31 dicembre) deve essere almeno pari a 8 mesi annui (ossia 241 giorni, anche non continuativi) per due anni consecutivi. Tale presupposto potrà realizzarsi solo a decorrere dai periodi 1° gennaio-31 dicembre degli anni 2013 e 2014. La verifica potrà essere effettuata una volta maturati i due anni indicati dalla normativa in materia.

b) Fatturato : deve essere pari all’80% del ricavato nell’arco di due anni solari consecutivi. Si considerano i soli corrispettivi derivanti da prestazioni autonome (con esclusione delle prestazioni di lavoro subordinato, di lavoro accessorio o di altra natura) fatturate (indipendentemente da un effettivo incasso delle somme pattuite) nel biennio solare (2 periodi di 365 giorni non coincidenti necessariamente con il biennio civile) decorrente dal 18 luglio 2012. Qualora si intenda far valere tale condizione unitamente a quella concernente la durata della prestazione professionale, si ritiene tuttavia che il criterio dell’anno civile – adoperato in relazione alla durata superiore a 8 mesi annui per due anni consecutivi – attragga necessariamente anche il criterio reddituale. In altri termini, poiché, in tal caso, occorre prendere in considerazione, ai fini della durata, i periodi dal 1° gennaio al 31 dicembre di due anni consecutivi, gli anni solari considerati ai fini reddituali dovranno necessariamente coincidere con i citati periodi.
Anche in tal caso, si potrà procedere alla verifica, decorsi i due anni indicati dalla normativa in materia.

c) Postazione fissa di lavoro : tale presupposto si verifica quando, negli archi temporali utili alla realizzazione di una delle altre condizioni indicate, il collaboratore possa usufruire di una postazione ubicata in locali in disponibilità del committente. Pertanto, per i primi due presupposti, la verifica potrà essere fatta solo a posteriori, una volta che siano trascorsi i due anni stabiliti dalla Legge. Invece il terzo presupposto, relativo alla postazione fissa, potrà essere verificato da subito anche se da solo non potrà mai far scattare alcuna presunzione di legge.

In definitiva, il momento a partire dal quale si potrà effettuare una verifica anche da parte dei lavoratori interessati, dipenderà dalla combinazione delle condizioni sopra riportate: ad esempio, se si farà valere la postazione fissa e il fatturato di oltre l’80%, la prima verifica potrà essere fatta non prima del 18 luglio 2014, data di scadenza dei due anni solari previsti dalla legge. Se invece, le condizioni sono la durata della collaborazione e la postazione fissa, oppure la durata della collaborazione e il fatturato, la prima verifica non potrà essere effettuata prima del 2015, atteso che il biennio interessato sarà il 2013/2014.

2.2 Operatività della presunzione

Nel caso in cui il collaboratore ricada in almeno due di tali presupposti, scatterà la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa a progetto che sarà considerata legittima, in presenza di uno specifico progetto.

Si tratta di una presunzione relativa, in quanto il committente può dimostrare la genuinità del rapporto di lavoro autonomo.

Quindi, non si applica la presunzione e la prestazione resa dal titolare di partita IVA è genuina, quando il committente dimostra in maniera concreta l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro autonomo.

3. Effetti della presunzione

La presunzione legale di collaborazione coordinata e continuativa per le attività svolte in regime di mono-committenza comporta l’applicazione della disciplina in materia di lavori a progetto.5

Pertanto, nella prestazione del titolare di partita Iva ricondotta a una collaborazione coordinata e continuativa deve essere individuato un progetto elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato6 a decorrere dalla data di costituzione del rapporto.

In sintesi, se la prestazione resa da un titolare di partita Iva per conto di un committente non è riconducibile a un incarico di lavoro autonomo occasionale, il contratto si trasforma in:

  • collaborazione coordinata e continuativa a progetto, quando sia presente un progetto;
  • rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di costituzione del rapporto, se il progetto non è presente.

4. Regime transitorio

È stato previsto un apposito regime transitorio in base al quale, per i rapporti già in essere, le nuove regole imposte dalla Riforma del lavoro entreranno in vigore solo dal 18 luglio 2013, al fine di consentire ai professionisti e alle aziende di adeguarsi alle nuove disposizioni. Per le nuove collaborazioni, invece, ossia per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della Riforma del lavoro, le nuove disposizioni sono applicabili dal 18 luglio 20127.

 5. Obbligo assicurativo e premio assicurativo

 In presenza di prestazioni autonome convertite in collaborazioni coordinate e continuative a progetto, l’obbligo assicurativo è assolto secondo le condizioni previste per i lavoratori parasubordinati8 ossia se sussistano i requisiti oggettivi e soggettivi per l’applicazione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Per quanto riguarda il calcolo del premio assicurativo si confermano le istruzioni in vigore per i lavoratori parasubordinati9.

Coerentemente con tali disposizioni, il premio assicurativo dovuto – ripartito nella misura di un terzo a carico del lavoratore e di due terzi a carico del committente – è calcolato in base al tasso applicabile all’attività svolta, sull’ammontare delle somme effettivamente erogate al collaboratore, nel rispetto dei limiti minimo e massimo previsti per il pagamento delle rendite erogate dall’Inail10.

6. Partite Iva genuine

 In questi casi, la Riforma cerca di valorizzare le caratteristiche professionali e di accentuarne il carattere di autonomia (Relazione illustrativa al d.d.l.). Non rientrano nella nuova disciplina di cui all’art. 69-bis del d.lgs. 276/2003 e s.m.i., le prestazioni lavorative che presentano determinati requisiti di professionalità o che hanno un determinato valore economico.

La presunzione legale di collaborazione coordinata e continuativa è esclusa11, quando la prestazione:

a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;

b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’ articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (per il 2012, il reddito minimo annuo di riferimento è di Euro 18.662,50).

Ulteriore esclusione dall’applicazione della presunzione è il caso in cui la prestazione sia resa nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione a un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali e stabilisce specifici requisiti e condizioni. L’esclusione, in definitiva, non vale per tutte le attività lavorative del professionista, ma solo per quelle prestazioni che costituiscono lo svolgimento dell’attività professionale per il cui esercizio è richiesta l’iscrizione in appositi albi professionali12. La ricognizione di tali attività professionali (escluse dall’ambito applicativo delle presunzioni legali da applicare alle prestazioni rese dai titolari di partita Iva) è stata effettuata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l’allegato decreto ministeriale 20 dicembre 2012, che demanda agli organismi di certificazione monitoraggi periodici sugli incarichi professionali. Gli ordini o collegi professionali, i registri, gli albi, i ruoli e gli elenchi professionali qualificati sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da un’amministrazione pubblica nonché da federazioni sportive, in relazione ai quali l’iscrizione è subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento della attività13.

 

Allegati: 1, 2

 

IL DIRETTORE GENERALE

 

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1. Art. 1, comma 26, l. 92 del 28 giugno 2012, come modificato dall’articolo 46-bis comma 1, lettera c) del d.l. 83 del 22 giugno 2012.
2. Art. 69 bis del d.lgs. n. 276/2003, aggiunto dall’art. 1, comma 26, l. 92 del 28 giugno 2012, come modificato dall’articolo 46-bis comma 1, lettera c) del d.l. 83 del 22 giugno 2012 .
3. In assenza di progetto specifico, la prestazione si considera resa nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
4. Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 32/2012.
5. D.lgs. 276/2003, Titolo VII, capo I. In tal caso, la prestazione ricondotta a una collaborazione a progetto comporta l’applicazione delle norme sulla sospensione del rapporto in caso di malattia e infortunio e di proroga dello stesso in caso di gravidanza.

6. Articolo 1, comma 24, della l. 92 del 28 giugno 2012.
7. Art. 69 bis, comma 4, d.lgs. 276/2003.

8. Art.5 del d.lgs. 38/2000; circolare Inail n. 22 del 18 marzo 2004 e circolare Inail n. 13 del 19 febbraio 2013.
9. Circolare Inail n. 32/2000, nota Direzione centrale rischi del 26 gennaio 2001 “Assicurazione dei lavoratori parasubordinati; innovazioni introdotte dal collegato fiscale alla Finanziaria 2000” e circolare Inail 22/2004.
10. D.p.r. 1124/1965, art. 116, cui rinvia il decreto legislativo 38/2000, art. 5. Per l’anno 2012 l’imponibile minimo e massimo previsto ai fini del calcolo del premio assicurativo dovuto è riportato nella circolare Inail 42/2012, paragrafo 7.
11.Art. 69 bis, comma 2, del d.lgs. 276/2003.
12. Art. 61, comma 3, d lgs. 276/2003.
13. D. m. 20 dicembre 2012  

. SISTEMA RECLUTAMENTO E FORMAZIONE DIRIGENTI E FUNZIONARI PUBBLICI

25/03/2013

u Su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva, dopo aver acquisito i pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti, un regolamento che attua la legge n. 135 del 2012 (spending review – confronta comunicato stampa n. 38 del 05 luglio 2012) derivante dalla unificazione (così come richiesto dal Consiglio di Stato) dei due schemi di regolamento in materia di riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici da parte delle scuole pubbliche di formazione e di disposizioni per il corso-concorso per funzionari e dirigenti pubblici approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013 (confronta comunicato stampa n. 66 del 22 gennaio 2013).

Queste le novità principali del regolamento:

1. la Scuola superiore della PA (rinominata Scuola nazionale dell’amministrazione) assieme all’Istituto diplomatico “Mario Toscano”, la Scuola superiore dell’economia e delle finanze, la Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno – SSAI, la Scuola di formazione e perfezionamento del personale civile della difesa e la Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche, costituisce il Sistema unico del reclutamento e della formazione pubblica.

2. L’azione del Sistema unico verrà indirizzata dal “Comitato per il coordinamento delle scuole pubbliche di formazione”, presieduto dal Presidente del Consiglio e composto dagli organi di vertice delle Scuole del Sistema unico, che coordina la pianificazione dell’attività di formazione e reclutamento di funzionari e dirigenti, ma anche l’utilizzo delle risorse umane (in particolare del personale docente), finanziarie e logistiche (sedi e locali delle Scuole).

3. Il Dipartimento della funzione pubblica elabora ogni anno il “Piano triennale previsionale di reclutamento di dirigenti e funzionari nelle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo e negli enti pubblici nazionali”, che viene successivamente approvato dal Consiglio dei Ministri.

4. Il reclutamento dei funzionari e dei dirigenti nelle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici, avverrà per metà dei posti con il sistema unico di reclutamento.

5. Le amministrazioni sono tenute ad adottare, entro il 30 giugno di ogni anno, un Piano triennale di formazione del personale, da trasmettere al Comitato che provvede a redigere il “Programma triennale delle attività di formazione dei dipendenti pubblici”, secondo il criterio della programmazione a scorrimento entro il 31 ottobre di ogni anno.

6. Il sistema di reclutamento e formazione di dirigenti e funzionari viene ridefinito in base a quattro obiettivi: concentrare, snellire e rendere più economiche le procedure concorsuali; garantire l’eccellenza dell’attività formativa generale; strutturare i corsi di formazione in modo da assicurare il più elevato livello di specializzazione professionale degli allievi; subordinare l’assunzione degli allievi al superamento di prove valutative che assicurino l’effettiva selezione dei più meritevoli.

7. Per i funzionari le novità riguardano i requisiti minimi di accesso al corso-concorso (laurea specialistica/magistrale o diploma di laurea per i candidati non dipendenti pubblici e laurea triennale per i dipendenti pubblici); le modalità di svolgimento (durata complessiva di 9 mesi di cui i primi sei di formazione generale presso la Scuola nazionale di amministrazione e le altre Scuole del Sistema unico e i successivi tre mesi di formazione specialistica svolta presso le amministrazioni di destinazione degli allievi, utilizzando anche le strutture delle Scuole di riferimento); il trattamento economico degli allievi.

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