I commi 5 e 6 dell’art.32 della legge n.183/2010 prevedono che:
5 Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
6 – In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
Sin dall’entrata in vigore delle predette disposizioni dell’art.32 sull’indennità risarcitoria si è aperta la discussione circa la natura della stessa con la richiesta di precisi chiarimenti tesi a definire se sia da ritenere:
a) sostitutiva della conversione del rapporto a tempo indeterminato;
b) alternativa rispetto alla retribuzione persa dal lavoratore sino alla riassunzione in servizio;
c) aggiuntiva tanto alla trasformazione del rapporto lavorativo quanto alla retribuzione persa dal lavoratore.
Secondo la maggioranza della dottrina , la somma prevista dall’art.32 va a sostituire l’ordinaria tutela risarcitoria che tiene conto del periodo intercorso tra cessazione del rapporto e riammissione in servizio.e nella stessa direzione si sono poste le sentenze emesse il 29 novembre 2010 da due diversi giudice del lavoro del Tribunale di Milano.
Di diverso tenore risulta invece , la decisione emessa dal giudice del lavoro del Tibunale di Busto Arstizio, che, con la sentenza n.528 sempre del 29.novembre 2010 , nell’ affermare la nulllità del termine del rapporto oggetto del l ricorso per l’assoluta assenza delle ragioni tecniche,organizzative e produttive di cui all’art.1 del dec.legvo n.368/01,non si è limitato ad ordinare,oltre alla conversione del contratto a tempo indeterminato ,soltanto il pagamento dell’indennità risarcitoria a norma dell’art.32 della legge n.183/2010, , ma anche la liquidazione da parte del datore di lavoro delle retribuzioni mturate sino alla sentenza.
A complicare il cammino e l’applicazione delle disposizioni sopra riportate è intervenuta l’Ordinanza n.2112 del 28 gennaio 2011 della Corte di Cassazione che ha ritenuto in contrasto con la Costituzione l’indennita’ risarcitoria di cui all’art..32 commi 5 e 6 della legge n.183/2010
Secondo i Giudici della Cassazione “il danno sopportato dal prestatore di lavoro a causa dell’illegittima apposizione del termine al contratto è pari almeno alle retribuzioni perdute dal momento dell’inutile offerta delle proprie prestazioni fino al momento dell’effettiva riammissione in servizio. Fino a questo momento, spesso futuro e incerto durante lo svolgimento del processo e non certo neppure quando viene emessa la sentenza di condanna, il danno aumenta col decorso del tempo ed appare di dimensioni anch’esse non esattamente prevedibili”.
I predetti hanno precisato altresì che l’indennità prevista dall’art. 32 sopra cit. non può essere paragonata a quella prevista dall’art. 8 L. 15.07.1966 n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), perchè il diritto all’indennità esclude il diritto al mantenimento del rapporto; di conseguenza, la norma non è riferibile al risarcimento di un danno che deriva dall’attuazione di un rapporto di durata – il cui ammontare aumenta con il trascorrere del tempo -.
Peraltro nell’ordinanza si legge che un’indennità non proporzionata rispetto all’ammontare del danno può indurre il datore di lavoro a persistere nell’inadempimento (prolungando il processo oppure sottraendosi all’esecuzione della sentenza di condanna). Pertanto, a parere della Suprema Corte “risulta vanificato il diritto del cittadino al lavoro (art. 4 Cost.) e nuoce all’effettività della tutela giurisdizionale, con danno che aumenta con la durata del processo, in contrasto con il principio affermato da qualsiasi secolare dottrina processualista, oggi espresso dagli artt. 24 e 111, secondo comma, cost., e che esige l’esatta, per quanto materialmente possibile, corrispondenza tra la perdita conseguita alla lesione del diritto soggettivo ed il rimedio ottenibile in sede giudiziale“.
Infine, Corte di Cassazione ha ravvisato un contrasto con l’art. 117, 1^ comma, Cost. perchè vi sarebbe un’illegittima intromissione del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influire sulla decisione di una singola controversia, in violazione dell’art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto di ogni persona al giusto processo (ratificata dall’Italia con la sottoscrizione della Convenzione medesima).
Per questi motivi, la Suprema Corte ha sospeso il processo in corso e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale.
Ora si tratta di attendere la decisione di quest’ultima.