Premessa
E’ noto che le pensioni dell’A. G. O., acronimo di “Assicurazione generale obbligatoria”, altrimenti denominata “Assicurazione comune”, nonché dei Fondi sostitutivi ed esclusivi della medesima, sono calcolate con il metodo retributivo, contributivo o misto: in particolare, le pensioni calcolate con il sistema misto sono la risultante della combinazione dei sistemi retributivo e contributivo, a seconda della collocazione temporale dei periodi di assicurazione fatti valere dai singoli assicurati e dell’entità dei periodi eventualmente antecedenti al 1° gennaio 1996 .
Inoltre, per effetto della disposizione contenuta nell’art. 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (c. d. “Riforma Monti/Fornero”), le pensioni che precedentemente erano assoggettate al metodo esclusivamente retributivo, in quanto i relativi titolari potevano vantare almeno 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, sono ora calcolate con il sistema misto, atteso che tutti i periodi che si collochino successivamente al 31 dicembre 2011 devono essere quantificati nel sistema contributivo. Ne consegue, pertanto, che nessun trattamento pensionistico può essere liquidato con decorrenza a partire dal 1° febbraio 2012 nel sistema esclusivamente retributivo, qualora presenti periodi di contribuzione successivi al 31 dicembre 2011: ricorrendo tali presupposti, si può parlare unicamente di “quota di pensione calcolata nel sistema retributivo”.
Per contro, con riferimento ai soggetti per i quali il primo accredito contributivo si collochi temporalmente a partire dal 1° gennaio 1996, la prestazione sarà riconosciuta nel sistema esclusivamente contributivo, laddove, invece, relativamente ai soggetti che possono far valere meno di 18 anni alla data del 31 dicembre 1995, il trattamento sarà calcolato nel sistema misto (retributivo per i periodi che si collochino temporalmente antecedentemente al 1° gennaio 1996 e contributivo relativamente ai periodi successivi al 31 dicembre 1995).
Vale infine la pena di segnalare che il rapporto numerico dei pensionati ai quali sarà liquidata la quota di pensione retributiva e la quota di pensione contributiva è destinato, nel decorso del tempo, a vertere a favore di questi ultimi in conseguenza dell’ormai entrata a regime del meccanismo previsto dagli artt. 12 e 13 della legge 8 agosto 1995, n. 335: con il passare degli anni, infatti, gli assicurati che potranno vantare periodi di contribuzione che si collochino antecedentemente al 1° gennaio 1996 saranno numericamente sempre di meno rispetto a quelli in possesso di contribuzione successiva a tale data.
La dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, della legge 29 maggio 1982, n. 297
Con sentenza n. 82 del 13 aprile 2017, che potremmo qualificare allo stesso tempo come “additiva” e “manipolativa”, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’incostituzionalità della norma in epigrafe, “nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima”.
Per riallacciarci a quanto detto nel paragrafo precedente, ed a scanso di equivoci, occorre porre da subito in evidenza che la norma dichiarata incostituzionale riguarda la determinazione della sola quota di pensione riconosciuta nel sistema retributivo e non anche quella liquidata con il metodo contributivo.
In tale ambito, la sentenza influisce sulla determinazione dell’importo della c. d. “retribuzione pensionabile” che si rinviene negli ultimi 5 di contribuzione effettivamente accreditata andando a ritroso dalla decorrenza della pensione.
Al riguardo merita segnalazione la circostanza che i parametri che incidono sul calcolo della quota di pensione retributiva sono due: l’appena accennata retribuzione pensionabile ed il numero delle settimane di retribuzione fatte valere dall’assicurato al momento del pensionamento, le quali ultime, rapportate su base annua, determina le cc. dd. “aliquote di rendimento”: ebbene, non deve trarre in inganno il riferimento alle ultime 260 settimane con il numero dei contributi settimanali.
Il primo elemento è quello che è stato influenzato dalla dichiarazione di incostituzionalità, mentre il secondo è rimasto immutato: ciò significa che, una volta calcolata la retribuzione pensionabile riferita agli ultimi 5 anni antecedenti la decorrenza della pensione, eventualmente con la neutralizzazione dei periodi di disoccupazione, l’ammontare della prestazione sarà direttamente proporzionale agli anni di contribuzione fatti valere temporalmente prima del 30 giugno 1982.
Un altro punto che richiede chiarimento è che il riferimento agli ultimi 5 anni di retribuzione pensionabile riguarda le pensioni liquidate con decorrenza compresa tra il 1° luglio 1982 ed il 31 dicembre 1992: dopo tale data, per effetto dell’entrata in vigore del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, il sistema di calcolo della quota di pensione retributiva risulta significativamte modificato (l’argomento sarà ripreso a breve).
Ne consegue che la sentenza interviene in un contesto normativo ormai da lungo tempo superato, per cui, salvo quanto sarà detto a conclusione del presente lavoro, la sua efficacia sarà circoscritta a pochi casi, in particolare alle pensione la cui decorrenza si pone all’interno dell’appena citato periodo 1° luglio 1982-31 dicembre 1992 ed i cui titolari siano ancora in vita o per lo meno il cui eventuale decesso abbia dato luogo al riconoscimento di un trattamento ai superstiti ancora in corso di pagamento.
Detto per la cronaca, l’art. 13, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con riferimento alle pensioni liquidate con decorrenza a partire dal 1° gennaio 1993, ha lasciato immutati sia la durata del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile (come già detto, cinque anni), sia il meccanismo che determina le aliquote di rendimento. L’ammontare dalle quote di pensione retributiva che ne risulta, per effetto di quanto previsto dalla successiva lettera b) del citato art. 1, viene denominata “quota a”).
Lo stesso art. 13, al comma 1, lettera b), ha introdotto infatti la c. d. “quota b”: i periodi di assicurazione accreditati dopo la data del 31 dicembre 1992 saranno influenti, sempre in misura direttamente proporzionale al numero dei contributi settimanali, all’importo della retribuzione pensionabile degli ultimi 10 anni.
Ed ancora, l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373, con riferimento ai lavoratori di prima occupazione privi di anzianità assicurativa al 1° gennaio 1993 iscritti, dalla predetta data, all’Assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive della medesima, la retribuzione pensionabile è costituita dalla media delle retribuzioni imponibili relative agli anni coperti da contribuzione assicurativa riferita all’intera vita lavorativa (c. d. “quota unica”).
Il fatto singolare, lo vedremo in modo più dettagliato in seguito, è che le norme che hanno introdotto la “quota b)” e la “quota unica” non sono state (o, per lo meno, non ancora) sottoposte, come sarebbe stato giusto ed equo, al vaglio di costituzionalità con riferimento alla neutralizzazione dei periodi di disoccupazione, con ciò comportando uno svantaggio per i lavoratori a cui fosse stata riconosciuta la pensione con decorrenza dal 1° gennaio 1993: l’auspicio è ovviamente che a tale situazione, anche sulla scia della sentenza in commento appena emanata, si ponga al più presto rimedio.
Stabilito ciò, non appare superfluo sottolineare ulteriormente che la pronuncia è in linea con precedenti sentenze riguardanti i periodi di neutralizzazione relativi ad analoghe fattispecie che potrebbero avere come conseguenza la riduzione dell’importo della pensione e precisamente con la n. 307 dell’8-26 maggio 1989, (concernente la prosecuzione volontaria dell’assicurazione), la n. 388 del 20-26 luglio 1995 (riguardante un lavoratore dipendente sottoposto ad integrazione salariale).
Stupisce anzi che gli Enti di patronato ed i professionisti addetti ai lavoro (gli avvocati, i commercialisti, i consulenti del lavoro, ecc.) non si siano attivati in questa direzione, anche perché la recente pronuncia del Giudice delle leggi conferma, giova riaffermalo, una “ratio decidenti” unitaria, in virtù della quale in un sistema che considera, per la determinazione della retribuzione pensionabile, il periodo immediatamente a ridosso della decorrenza della pensione, generalmente più favorevole al lavoratore, sarebbe palesemente irragionevole la valutazione, all’interno del suddetto lasso temporale, di uno spezzone contributivo di minore retribuzione.
Allorchè infatti il lavoratore possieda i requisiti assicurativi e contributivi per beneficiare della pensione, la contribuzione acquisita nella fase successiva non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata, con ciò significando che, ancorchè l’assicurato non abbia inteso chiedere la pensione alla data di maturazione del relativo diritto, l’attivazione della domanda di prestazione in epoca successiva non può pregiudicarne l’ammontare maturato alla suddetta data: la domanda medesima non costituisce infatti una “conditio iuris” per l’attivazione di un diritto che sorge automaticamente in quanto relativo ad uno “status” del titolare (c. d. “diritto indisponibile”), bensì ha la funzione di dare un contenuto patrimoniale ad una prestazione che sarà necessariamente corrisposta in forma di rendita e che non necessita perciò di essere reiterata ad ogni scadenza di pagamento.
Peraltro, “Un meccanismo così congegnato pregiudicherebbe il lavoratore che ha già maturato il diritto a pensione, anche senza tale periodo di minore retribuzione: «a maggior lavoro e a maggior apporto contributivo» corrisponderebbe «una riduzione della pensione che il lavoratore avrebbe maturato al momento della liquidazione della pensione per effetto della precedente contribuzione» (sentenza n. 264 del 1994).” (v. il punto 1 delle “Considerazione in diritto” della sentenza in commento).
Il presupposto fondamentale per attivare la neutralizzazione del periodo contributivo da disoccupazione, al fine di non arrecare diminuzione dell’ammontare
della retribuzione pensionabile, è dunque che detta contribuzione debba essere successiva alla data di maturazione dell’anzianità assicurativa e contributiva minime per il conseguimento dei requisiti per il diritto alla pensione. Ne consegue che la “neutralizzazione” non opera relativamente a quei periodi contributivi che eventualmente concorressero ad “integrare” il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico. (v. le sentenze della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 4868 del 28 febbraio 2014 e n. 20732 del 26 ottobre 2004).
Al precedente punto 3. 3 della sentenza di cui si discorre, è stato precisato (“ad abundantiam”, occorre sottolineare) che “Anche dagli sviluppi normativi più recenti, e in particolare dall’art. 12 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), traspare il ruolo cruciale del meccanismo di “neutralizzazione”, inteso come criterio volto a evitare sperequazioni e disarmonie nella determinazione della retribuzione pensionabile. “
Infine, il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, aveva dubitato anche della legittimità costituzionalità dell’art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, nella parte in cui non prevede il diritto alla “neutralizzazione” dei periodi di contribuzione per disoccupazione e per integrazione salariale anche oltre i limiti del quinquennio, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,
Il Giudice delle leggi ha ritenuto infondata tale ulteriore questione per difetto di motivazione.
D’altra parte la neutralizzazione dei periodi che si pongano antecedentemente al quinquennio sarebbe, almeno questo è il parere di chi scrive, del tutto ininfluente sulla determinazione della retribuzione pensionabile determinata in occasione della prima liquidazione della prestazione.
I possibili sviluppi della sentenza della Consulta n. 82 del 13 aprile 2017
La pronuncia in commento propone due ordini di interrogativi.
Il primo concerne l’applicabilità della medesima anche ai Fondi sostitutivi ed esclusivi dell’Assicurazione generale obbligatoria (A. G. O.): è vero infatti che il più volte citato decreto legislativo n. 503 (la circostanza è stata già ricordata in precedenza) ha esteso il sistema del calcolo delle “quote” anche ai predetti Fondi pensione. Pur tuttavia la norma dichiarata incostituzionale (l’art. 3, comma 8, della legge 29 maggio 1982, n. 297) riguarda la sola A. G, O., per cui bisognerà attendere le decisioni che saranno assunte dall’INPS e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali circa l’estensione della censura (cosa di cui peraltro chi scrive dubita fortemente) anche ai Fondi esclusivi e sostitutivi dell’A. G. O. medesima,
Il secondo riguarda l’efficacia della sentenza in termini di retroattività sulle rate della pensione a suo tempo liquidata: la questione va risolta tenendo conto, in prima battuta, di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, come aggiunto dall’art. 38, comma 1, lettera d), n. 1), del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, laddove si legge che “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte.”
In secondo luogo, la norma è stata interpretata dall’INPS in chiave dicotomica, nel senso che è stata operata una distinzione tra:
1) i casi in cui, in occasione della prima liquidazione, l’Istituto di previdenza non abbia tenuto conto di tutti gli elementi e le informazioni che incidono sulla integrale liquidazione del trattamento pensionistico che erano presenti al momento della domanda di pensione (in pratica degli elementi noti all’INPS); 2) gli avvenimenti insorti dopo la prima liquidazione della pensione (c. d. “sopravvenienze”), che hanno reso parziale il pagamento della prestazione.
Sulla base di quanto affermato dall’INPS al punto 2 della circolare n. 95 del 31 luglio 2014, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma rientra (o per lo meno così tutto lascia pensare) tra le “nuove disposizioni di legge che danno diritto ad un ricalcolo della prestazione”, atteso che le sentenze additivo-manipolative della Corte Costituzionale si possono appunto considerare alla stregua di una nuova disposizione normativa.
Se così fosse, ne conseguirebbe (anzi chi scrive ne ha la quasi certezza) che la domanda finalizzata ad ottenere un adeguamento dell’importo della pensione alla mutata disciplina legislativa può essere presentata senza limiti di tempo e il riconoscimento dei ratei arretrati soggiace al limite della prescrizione quinquennale di cui all’art. 38, comma 1, lettera d), n. 2, e comma 4, del decreto legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011. (v. il messaggio dell’INPS n. 220 del 4 gennaio 2013).
I pensionati interessati (ripetesi quelli ai quali è stata riconosciuta la pensione con decorrenza compresa tra il 1° luglio 1982 ed il 31 dicembre 1992, potranno pertanto, previa presentazione della relativa domanda, ottenere la corresponsione degli arretrati nei limiti della suddetta prescrizione. Lo stesso discorsosi intende ovviamente valido nei confronti dei superstiti di assicurato o di pensionato ai quali siano stati riconosciuti i relativi trattamenti pensionistici,
Non si verificheranno infatti, nella specifica fattispecie, le conseguenze letali relativi agli eventi di cui sub 1), vale a dire la mancata corresponsione differenze delle rate di pensione arretrate per effetto del sopravvenuto spirare del termine di decadenza.