Si richiama l’attenzione su decreto s sotto ptrecisato emess dal MEF per disciplinare il Fondo di cui al titolo
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Si richiama l’attenzione su decreto s sotto ptrecisato emess dal MEF per disciplinare il Fondo di cui al titolo
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La riduzione contributiva è riconosciuta per periodi non anteriori al 21 marzo 2014 per l’intera durata del contratto di solidarietà, con il limite massimo di 24 mesi, nella misura del 35% della contribuzione a carico del datore di lavoro dovuta per i lavoratori interessati alla riduzione delll’orario di lavoro in misura superiore al 20%. La domanda si riferisce al periodo previsto nell’accordo, comunque non superiore a 12 mesi.
L’impresa presenta la domanda di riduzione contributiva, nella quale dovrà essere indicato il codice pratica relativa alla istanza di integrazione salariale per contratto di solidarietà presentata con la procedura denominata CIGSonline, unitamente al contrato di solidarietà ed alla documentazione nella quale sono individuati gli strumenti e gli incentivi all’occupazione, attraverso la modulistica e le modalità operative indicate nella summenzionata pagina internet. La domanda dovrà essere contestualmente inoltrata all’Inps.
La domanda deve essere presentata entro 30 giorni successivi alla stipula del contratto di solidarietà o, per i contratti già in essere, entro il 26 ottobre 2014. Le istanze sono istruite secondo ordine cronologico risultante dall’invio effettuato con posta certificata (PEC).
CLICCARE
Modulistica e modalità operative per la presentazione delle domande
La domanda deve essere inviata tramite posta certificata, contestualmente agli indirizzi :
dgammortizzatorisociali@mailcert.lavoro.gov.it (per il Ministero del Lavoro e P.S.)
SgraviContrattiSolidarieta@postacert.inps.gov.it (per l’INPS)
Nell’oggetto della e-mail sarà riportato : Domanda di sgravio contributivo CDS per l’azienda … (dove in sostituzione dei punti sarà indicata la denominazione aziendale).
La e-mail dovrà contenere i seguenti file, tutti firmati con firma digitale :
1. Il file “Modello-Domanda-Decontribuzione-CDS”, debitamente compilato, rinominato con “Domanda”, il carattere _ (underscore), la matricola INPS (10 caratteri alfanumerici) – (es. Domanda_ABDCEFG) ;
2. La copia del contratto di solidarietà, denominato “CDS”, il carattere _ (underscore), la matricola INPS (come sopra) – (es. CDS_ABDCEFG);
3. Il file “Modello-elenco-lavoratori-decontribuzione-CDS”, debitamente compilato, rinominato con “Elenco”, il carattere _ (underscore), la matricola INPS (come sopra), il carattere _ (underscore), la decorrenza della domanda (es. Elenco_1234567890_2014).
4. Una relazione illustrativa relativa agli “strumenti volti a realizzare un miglioramento della produttività di entità analoga allo sgravio contributivo spettante sulla base dell’accordo ovvero di un piano di investimenti finalizzato a superare le inefficienze gestionali o del processo produttivo” (art. 1 del Decreto interministeriale n.83312 del 07/07/2014), con eventuali ulteriori allegati.
5) Le DTL ,non prima del decorso di nove mesi dalla data di stipula del contratto di solidarietà ,devono verificare l’esistenza delle condizioni per l’ autorizzazione della contribuzione ,fornendo tempestiva relazione al MLPS.
Per quanto non indicato consultare la circolare di cui sopra
Fonte: Ministero del Lavoro
L’attuazione del Piano italiano di Garanzia per i Giovani sul territorio verrà monitorato costantemente per misurare l’efficacia e l’efficienza del Piano e individuare eventuali azioni alternative che permettano un miglioramento continuo degli interventi.
Gli indicatori utilizzati sono quelli definiti nell’allegato II del Regolamento (UE) n. 1303/2013, nel “Piano Italiano di attuazione della Garanzia Giovani” e nelle convenzioni tra il Ministero e le Regioni.
Il monitoraggio si articola in quattro diversi settori di attività:
Le attività di analisi, monitoraggio e valutazione si basano principalmente sulle informazioni che confluiscono nella piattaforma tecnologica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che costituisce la fonte di dati certi, le cui elaborazioni saranno messe a disposizione di tutti gli operatori del sistema e degli utenti finali.
Altre fonti sono quelle predisposte dalla statistica ufficiale (Istat, Isfol, Camere di Commercio, Osservatori degli archivi gestionali Inps).
Dati di monitoraggio sulla Garanzia Giovani
20° Report settimanale – Aggiornamento al 25 settembre 2014
Il Report (464 Kb)
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Si richiama l’attenzione sulla sottostante senteza con cui la Corte Suprema ha definito gli aspetti di cui al titolo inerenti il licenziamento individuale ,.la sospensione cautelare dal servizio in pendenza di procedimento penale ,l’ accertamento dei fatti giustificativi del recesso e l’Immediatezza della contestazione
Sentenza 19 giugno 2014, n. 13955
Svolgimento del processo
Con sentenza del 15/4/10 – 7/6/2011 la Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame proposto dalla società P.I. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che l’aveva condannata a reintegrare D.C. G. nel posto di lavoro, a seguito della ritenuta illegittimità del licenziamento intimato l’11/11/1998, con corresponsione dell’indennità risarcitoria, e di conseguenza ha respinto la domanda formulata in primo grado dal lavoratore.
La Corte territoriale ha spiegato che non risultava violato il principio della tempestività della contestazione stante la concomitanza di vari fattori, quali il perdurare della sospensione cautelare del lavoratore dal servizio adottata a seguito del suo arresto, il processo di trasformazione aziendale della datrice di lavoro ed i tempi di attesa del procedimento penale pendente a carico del D.C. Inoltre, il licenziamento doveva ritenersi giustificato, atteso che i profili soggettivi ed oggettivi che integravano i gravi fatti costituenti reato, per i quali quest’ultimo era stato rinviato a giudizio e condannato in sede penale, rappresentavano anche in sede civile i requisiti materiali e psicologici integranti gli illeciti disciplinari posti a base dell’atto di recesso.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.C. G. con due motivi.
Resiste con controricorso la società P.I. s.p.a.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il D.C. denunzia la violazione del principio dell’immediatezza della contestazione e della tempestività del recesso, oltre che dell’art. 34 del contratto collettivo nazionale del suo settore lavorativo ponendo in evidenza che era stato sospeso in via cautelare dal servizio in data 3/10/1991 e che solo sette anni dopo, vale a dire in data 26/10/1998, gli era stata comunicata la contestazione disciplinare.
A tal riguardo il ricorrente precisa che la tardiva contestazione disciplinare faceva riferimento a fatti oggetto di addebiti penali concernenti reati commessi in danno degli uffici postali di Caserta risalenti al periodo dicembre 1990 – giugno 1991, reati, questi, che sebbene posti a base di un’ordinanza cautelare in carcere del 20.9.1991 e di un’ordinanza di rinvio a giudizio del 3.10.1994, emesse entrambe nei suoi confronti ad opera del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, non erano stati però accertati con sentenza all’epoca del licenziamento. Tale licenziamento gli era stato intimato senza preavviso in data 11/11/1998, ai sensi dell’art. 32 del CCNL di settore, sulla base degli stessi fatti penali indicati nella suddetta nota di contestazione disciplinare.
In definitiva, il ricorrente si duole del considerevole lasso di tempo di sette anni intercorso tra il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio ed il licenziamento, arco temporale a suo avviso ingiustificato in considerazione del fatto che il recesso era basato sugli stessi addebiti che avevano determinato l’avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti. In ogni caso, secondo il ricorrente, l’esistenza di un procedimento penale a suo carico non poteva configurare un’ipotesi di giusta causa di licenziamento, senza contare che l’art. 34 del CCNL di settore prevedeva come possibile causa di licenziamento senza preavviso l’esistenza di una condanna passata in giudicato allorquando i fatti costituenti reato potevano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario.
2. Col secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto integrati i presupposti di legittimità del licenziamento sulla base della motivazione della sentenza penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riportandosi, in tal modo, a valutazioni rese molto tempo dopo l’adozione del provvedimento di licenziamento e trascurando di considerare che la legittimità dello stesso doveva essere verificata con riferimento all’epoca della sua intimazione.
Per ragioni di connessione si reputa opportuno trattare congiuntamente i suddetti motivi.
Il ricorso è infondato.
Invero, correttamente la Corte di merito ha rilevato che il principio di non colpevolezza valido fino alla condanna definitiva, sancito dall’art. 27, secondo comma, della Costituzione, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato e non può, quindi, applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, non essendo a ciò di ostacolo neppure la circostanza che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo qualora intervenga una sentenza definitiva di condanna (in tal senso v. Cass. Sez. lav. n. 29825/2008).
Nella fattispecie la gravità dei fatti posti a base della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento è stata attentamente valutata dalla Corte territoriale con motivazione indenne da rilievi di legittimità.
Infatti, la Corte d’appello di Napoli ha avuto modo di constatare che già all’epoca di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere esistevano indizi di responsabilità a carico del D.C. in merito all’organizzazione di numerose rapine in danno di uffici postali e che per gli stessi fatti il medesimo era stato successivamente rinviato a giudizio per subire, infine, una condanna a pena detentiva.
In effetti, dalla lettura della motivazione della sentenza si deduce che i giudici d’appello hanno valutato la gravità dei fatti che rendevano non più proseguibile il rapporto di lavoro alla luce degli accertamenti che avevano determinato l’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale del D.C. per i reati di associazione a delinquere, rapina aggravata continuata e tentata ai danni degli uffici postali di Caserta, tanto che nel primo mese successivo a tale evento anche la datrice di lavoro provvedeva a sospendere in via cautelare il dipendente dal servizio.
D’altra parte, la stessa Corte di merito ha spiegato che il riferimento alla sentenza penale di condanna rappresentava una semplice conferma del quadro probatorio della responsabilità del dipendente infedele.
Quanto alla specifica doglianza concernente l’eccepita mancanza di tempestività del recesso si osserva che la stessa è infondata, atteso che la Corte territoriale ha evidenziato che si era trattato di un lasso di tempo di appena due mesi tra la contestazione disciplinare ed il provvedimento di recesso che si inseriva nel contesto di una perdurante sospensione cautelare dal servizio.
Egualmente, per quel che riguarda la lamentata mancanza di immediatezza della contestazione disciplinare è agevole rilevare l’infondatezza della relativa censura, atteso che fin quando perduravano, come nella fattispecie, gli effetti del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio, periodo durante il quale proseguiva anche il giudizio penale a carico del D.C., persisteva una situazione in cui permaneva un concreto interesse della datrice di lavoro ad accertare con sicurezza i fatti incompatibili con la prosecuzione del rapporto, tali da minare in radice, per la loro gravità, il rapporto fiduciario col dipendente.
In effetti, l’intervallo temporale fra l’intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore assume rilievo in quanto rivelatore di una mancanza di interesse del datore di lavoro all’esercizio della facoltà di recesso, situazione, questa, non riscontrabile nella fattispecie per le ragioni appena esposte.
Infatti, la ritenuta incompatibilità degli addebiti con la prosecuzione del rapporto può essere desunta da misure cautelari, come nel caso di specie la sospensione dal servizio, adottate in detto intervallo dal datore di lavoro, giacché tali misure – specialmente se l’adozione di esse sia prevista dalla disciplina collettiva del rapporto – dimostrano la permanente volontà datoriale di irrogare eventualmente la sanzione del licenziamento, con la precisazione che il requisito dell’immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (v. ad es. Cass. Sez. lav. n. 2580 del 2.2.2009).
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori
Il Ministero cita a supporto di questa tesi le Circolari applicative INPS 140/2012, 142/2012 e 44/2013, nonché la sentenza della Corte Costituzionale 405/2001 che riconosce alla lavoratrice licenziata per motivi disciplinari l’indennità, ritenendo che alla tutela della maternità (prevista dagli articoli 31 e 37 della Costituzione) vada attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento.
Con analogo ragionamento, negare l’ASPI al licenziato costituirebbe ulterore reazione sanzionatoria. Non solo: il licenziamento per motivi disciplinari non può essere considerato un caso di disoccupazione volontaria, perchè il licenziamento non è mai una misura automatica (è una decisione «sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale», in base a una defizione contenuta nella sentenza di Cassazione 4382 del 25 luglio 1984), e fra l’altro è sempre impugnabile. Rulterebbe quindi iniquo negare l’ASPI nei casi in cui il giudice dovesse in un secondo momento ritenere illegittimo il licenziamento.
Risultato: non ci sono margini per negare il diritto all’ASPI a un lavoratore licenziao per giusta causa o giustificato motivo oggettivo.
(Fonte: interpello 29/2013 del ministero del Lavoro)
L'Art.4 ,commi da 8 ad 11 recitano quanto segue: 8. In relazione alle assunzioni effettuate, a decorrere dal 1° gennaio 2013, con contratto di lavoro dipendente, a tempo determinato anche in somministrazione, in relazione a lavoratori di eta' non inferiore a cinquanta anni, disoccupati da oltre dodici mesi, spetta, per la durata di dodici mesi, la riduzione del 50 per cento dei contributi a carico del datore di lavoro. 9. Nei casi di cui al comma 8, se il contratto e' trasformato a tempo indeterminato, la riduzione dei contributi si prolunga fino al diciottesimo mese dalla data della assunzione con il contratto di cui al comma 8. 10. Nei casi di cui al comma 8, qualora l'assunzione sia effettuata con contratto di lavoro a tempo indeterminato, la riduzione dei contributi spetta per un periodo di diciotto mesi dalla data di assunzione. 11. Le disposizioni di cui ai commi da 8 a 10 si applicano nel rispetto del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, anche in relazione alle assunzioni di donne di qualsiasi eta', prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali dell'Unione europea e nelle aree di cui all'articolo 2, punto 18), lettera e), del predetto regolamento, annualmente individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nonche' in relazione alle assunzioni di donne di qualsiasi eta' prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti. " Soffermando l'attenzione nella presente esposizione ,sugli incentivi finalizzati a sostenere l‘inserimento lavorativo di personale femminile, di qualsiasi età, residente in aree svantaggiate ,e da ricordare che in merito nel mese di luglio scorso , L’INPS ebbe a pubblicare il messaggio n. 6235 del 23 luglio 2014 aveva annunciato una sospensione cautelare dei finanziamenti previsti dalla Carta degli aiuti a finalità regionale, (appunto recepita nella legislazione nazionale con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 27 marzo 20089) , poi stata prorogata fino al al 30 giugno 2014, mentre mancava il rinnovo della stessa. Allora e' intervenuto Il Ministro del Lavoro ,che , interpellato dall’ Istituto , ha chiarito che fino all’adozione della nuova Carta, è possibile continuare a considerare utili ai fini della applicazione dell’incentivo le aree svantaggiate individuate da quella attualmente in vigore,vale a dire il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 27 marzo 2008) , confermando il ripristino degli aiuti economici previsti dall’articolo 4, commi da 8 a 11, della legge Fornero . Per il testo del citato decreto relativo all'elenco delle aree svantaggiate cliccare
Si riporta di seguito il Testo del decreto di cui al titolo relativo ai nuovi termini per il versamento della quota del 3% degli utili di esercizio dovuta dalle società cooperative e dai loro consorzi, non aderenti ad alcuna delle Associazioni nazionali di assistenza e tutela del movimento cooperativo
Art. 1
Il versamento della quota del 3% degli utili di esercizio dovuta dalle società cooperative e dai loro consorzi, non aderenti ad alcuna delle Associazioni nazionali di assistenza e tutela del movimento cooperativo riconosciuta, deve avvenire entro e non oltre 300 giorni dalla data di chiusura dell’esercizio.
Art. 2
I contributi di cui al presente decreto sono riscossi esclusivamente per il tramite dell’Agenzia delle Entrate mediante versamento sul modello F24 utilizzando il codice tributo «3012» – denominato: «Quota del 3% degli utili di esercizio e interessi – Art. 11, comma 4 e 6, legge n. 59/1992».
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Provvedimento pubblicato nella G.U. 27 settembre 2014, n. 225.
Si richiama l’attenzione sulla sottostante sentenza con cui la Cassazione si e’ pronunciata sull’ esonero del contributo d’ingresso all’ indennita’ di mobilita’ per le aziende in concordata preventivo di cui all’art.3 legge n.223/91
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Sentenza 16 giugno 2014, n. 13625
Svolgimento del processo
A. s.r.l. in data 1.12.1999 chiedeva al Tribunale di Vigevano di essere ammessa al concordato preventivo con cessione di beni ai creditori e contestualmente avviava la procedura di mobilità ex L. 223 del 1991. Con decreto del 9.3.2000, il Tribunale di ammetteva la società alla procedura per concordato preventivo e nominava il commissario giudiziale; in data 3.4.2001 omologava poi il concordato con cessione dei beni, nominando il liquidatore giudiziale.
In data 3.10.2003 veniva notificato alla società verbale di accertamento dell’Inps nel quale veniva contestato il mancato versamento della tassa d’ingresso alla mobilità per 44 dipendenti, a motivo del fatto che l’esonero di cui alla L. 223 del 1991 art. 3; Comma 3, non era applicabile perché all’epoca della richiesta della procedura di mobilità non era stato ancora nominato il commissario giudiziale, né tantomeno omologato il concordato preventivo. In data 24 marzo 2005 veniva poi notificata dal concessionario per la riscossione cartella di pagamento per € 319.571,96 per contributi e somme aggiuntive.
L’opposizione proposta da A. s.r.l. veniva respinta dal Tribunale di Pavia, ma la decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, che con la sentenza n. 804 del 2008 rideterminava l’ammontare dei contributi richiesti, escludendo le rate con scadenza successiva al 9.3.2000 (data del decreto di ammissione al concordato e nomina del commissario giudiziale). Riteneva la Corte che da tale momento la società fosse formalmente nelle condizioni di poter essere esonerata dal contributo di mobilità, sussistendo sia il requisito della cessazione dell’attività, sia la nomina del commissario giudiziale; osservava poi che la domanda di esonero, già precedentemente presentata dal liquidatore sociale, era stata fatta propria sia dal liquidatore giudiziale che dal commissario giudiziale, che avevano chiesto al Giudice delegato l’autorizzazione ad opporsi all’accertamento ispettivo.
Per la cassazione di tale sentenza l’Inps ha proposto ricorso, cui ha resistito A. s.r.l. in liquidazione, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.; E.E. s.p.a. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Sintesi dei motivi di ricorso.
Il ricorso è affidato a tre motivi, compendiati nei quesiti di diritto previsti dall’articolo 366 bis c.p.c. operante ratione temporis in relazione alla data di pubblicazione della sentenza d’appello (30 giugno 2008).
1.1. Come primo motivo il ricorrente deduce “Nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c.” e sostiene che la Corte di merito, riducendo l’ammontare dei contributi, avrebbe deciso su una domanda non proposta o comunque sulla base di elementi di fatto e circostanze mai allegate.
1.2. Come secondo motivo lamenta “Omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Addebita alla Corte di avere erroneamente ritenuto che,chiedendo al giudice delegato l’autorizzazione ad agire in giudizio, gli organi della procedura concorsuale avrebbero fatto propria la domanda avente ad oggetto il beneficio contributivo presentata alcuni anni prima dal liquidatore, facendo retroagire la successiva diversa condotta agli effetti di un adempimento mai posto in essere al momento in cui è stato autorizzato il concordato preventivo e nominato il commissario giudiziale.
1.3. Come terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 223 del 1991”, addebitando alla Corte d’Appello di non avere considerato che il beneficio dell’esonero dal pagamento del contributo di ingresso alla mobilità spetta solo nell’ipotesi in cui la messa in mobilità sia disposta dal commissario giudiziale o dal liquidatore giudiziale, organi della procedura concorsuale e non, come nel caso, dal liquidatore della società.
2. Esame dei motivi di ricorso.
Il ricorso è fondato.
2.1. L’art. 5 comma 4 della L. 223 del 1991 (abrogato con effetto dal 1° gennaio 2017 dall’ art. 2, comma 71, lettera a) della L. 92/2012) prevede che “per ciascun lavoratore posto in mobilità l’impresa è tenuta a versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui all’articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88, in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore. Tale somma è ridotta alla metà quando la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all’articolo 4, comma 9, abbia formato oggetto di accordo sindacale”.
L’art. 3 della stessa legge, intitolato “Intervento straordinario di integrazione salariale e procedure concorsuali” (abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2016 dall’ art. 2, comma 70, L. 28 giugno 2012, n. 92 , come sostituito dall’ art. 46-bis, comma 1, lett. h), D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) al comma 3 dispone poi che : “Quando non sia possibile la continuazione dell’attività, anche tramite cessione dell’azienda o di sue parti, o quando i livelli occupazionali possono essere salvaguardati solo parzialmente, il curatore, il liquidatore o il commissario hanno facoltà di collocare in mobilità ai sensi dell’articolo 4 ovvero dell’articolo 24 i lavoratori eccedenti. In tali casi il termine di cui all’articolo 4, comma 6, è ridotto a trenta giorni. Il contributo a carico dell’impresa previsto dall’articolo 5, comma 4, non è dovuto”.
La norma, al fine di tutelare interessi socialmente rilevanti, attribuisce tanto al commissario giudiziale quanto al liquidatore, a seconda che la necessità sorga prima o dopo l’omologazione, un eccezionale potere di gestione dell’impresa, ovvero il potere di valutare in prospettiva la possibilità di continuare (anche tramite la cessione dell’azienda) l’attività imprenditoriale e, in caso negativo, di decidere di collocare in mobilità il personale dipendente, con esonero in entrambi i casi dell’obbligo di pagare il relativo contributo (così Cass. S.U. n. 3597/2003).
2.2. La questione posta dal terzo motivo di ricorso – che appare logicamente preliminare alle altre – è stata esaminata e risolta in senso favorevole alla tesi dell’Inps da questa Corte con la sentenza n. 19422 del 18/12/2003, che, in relazione ad una fattispecie sovrapponibile a quella oggi in esame, dopo avere premesso che la procedura di concordato preventivo inizia con l’emissione del decreto del Tribunale, che la dichiara aperta e nomina il giudice delegato e il commissario giudiziale, e non già con il deposito del ricorso per l’ammissione alla procedura – ha affermato che deve escludersi che il beneficio dell’esonero dal pagamento del contributo di mobilità, previsto dall’art. 3, comma terzo, della legge 23 luglio 1991, n. 223, spetti nel caso in cui l’atto con il quale viene avviata la procedura per il licenziamento collettivo del personale – che costituisce l’atto richiesto per la collocazione in mobilità “gratuita” per le imprese in concordato preventivo con cessione dei beni soggette alla disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale – sia stato adottato non dal commissario giudiziale, successivamente al decreto di ammissione dell’impresa alla procedura concorsuale, ma dallo stesso imprenditore ancora prima di questo momento, contestualmente al deposito della istanza di ammissione al concordato preventivo.
La soluzione, cui occorre dare continuità, è fondata sulla considerazione che la ratio della disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 3 della L. 223/1991, come ricostruita nella decisione sopra citata delle Sezioni unite di questa Corte (n. 3597/2003), è quella dell’ esigenza, avvertita dal legislatore, di subordinare il collocamento in mobilità;e il beneficio dell’ esenzione dall’onere economico del versamento del contributo) ad una preliminare verifica delle condizioni di ammissione alla procedura da parte del tribunale o almeno dell’organo deputato alla funzione – secondo una definizione dottrinaria – di “consulenza nel controllo”. E ciò in quanto la mera richiesta di autorizzazione al concordato preventivo non implica affatto un accertamento dello stato di insolvenza, venendo questo esclusivamente dichiarato dal debitore interessato. Del resto, la ripetuta indicazione nella disposizione dei soggetti legittimati ad avviare gratuitamente la procedura di mobilità, e cioè del curatore, del liquidatore e del commissario, e non anche dell’imprenditore per il caso del concordato – nonostante lo stesso anche dopo l’ammissione alla procedura, conservi l’amministrazione del proprio patrimonio e dell’ azienda – è, con tutta evidenza, significativa in tale ultimo senso.
2.3. Quanto alle questioni poste con i primi due motivi, si deve osservare che il beneficio in questione ha carattere unitario e non può essere frammentato in relazione al periodo anteriore e successivo alla nomina del commissario giudiziale, come ha fatto il giudice di merito: la disposizione sopra riportata prevede infatti la quantificazione di un importo complessivo (pari a sei volte il trattamento mensile iniziale di mobilità spettante al lavoratore) che viene ripartito in trenta rate mensili, e non di un importo che matura progressivamente nel tempo.
Inoltre, la collocazione in mobilità dei lavoratori è frutto di una procedura la cui fase di avvio è stata frutto di una valutazione e decisione dell’imprenditore e non degli organi della procedura concorsuale come previsto dalla norma.
2.4. Dalla natura unitaria del contributo e dei presupposti per il relativo esonero discende altresì che questo non possa neppure derivare da un comportamento successivo degli organi del concordato, considerato che la procedura di mobilità una volta attivata non richiede una loro conferma o ratifica e che essi devono prendere atto al momento dell’istanza di ammissione al concordato della situazione (aziendale e debitoria) quale si è determinata per effetto del già avvenuto avvio da parte del liquidatore sociale della procedura di mobilità.
2.5. Neppure può ritenersi che l’autorizzazione da parte degli organi della procedura ad agire in giudizio per ottenere l’esonero dal contributo configuri una ratifica dell’avvio della mobilità, considerato che pare piuttosto finalizzata a ridurre i costi della mobilità già attivata per decisione altrui.
3. Conclusioni.
Il ricorso dell’Inps dev’essere conclusivamente accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’opposizione proposta da A. S.p.A.
La novità della questione giuridica affrontata in relazione alla peculiarità della soluzione adottata dalla Corte di merito, determina la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta da A. s.r.l. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Comunicato 26 settembre 2014
Redditi 2014, la nuova Certificazione Unica manda in soffitta il Cud – Tutte le somme corrisposte in un solo modello
Pronto lo schema di Certificazione Unica (Cu), disponibile da oggi in bozza sul sito dell’Agenzia delle Entrate. Il nuovo modello, che dal 2015 manda in pensione il Cud, consentirà di far confluire in un unico documento tutti i redditi corrisposti nel 2014: non solo, quindi, quelli di lavoro dipendente e assimilati, ma anche quelli finora certificati in forma libera. Tra le principali novità, nella Certificazione trova spazio una sezione per gestire il bonus Irpef di 80 euro riconosciuto ai lavoratori dipendenti e ad alcune categorie assimilate.
Più tipi di reddito, una sola certificazione – Dal prossimo anno i sostituti d’imposta avranno un solo modello per attestare sia i redditi di lavoro dipendente e assimilati, finora riportati nel Cud, sia altri redditi (per esempio di lavoro autonomo e “redditi diversi”), ad oggi certificati in forma libera. Con la “Certificazione Unica” i sostituti d’imposta compileranno un solo frontespizio contenente i propri dati, le informazioni anagrafiche del contribuente e il prospetto dei figli e degli altri familiari a carico del dipendente o pensionato in relazione ai quali sono state riconosciute le detrazioni per carichi di famiglia.
Spazio anche al bonus Irpef – Entra nel nuovo modello una sezione ad hoc per gestire il credito di 80 euro riconosciuto in busta paga dal sostituto di imposta ai lavoratori dipendenti e ad alcune categorie assimilate, con un reddito fino a 26mila euro. Con riferimento ai redditi di lavoro dipendente e pensione, restano confermate, anche per il nuovo anno, una serie di agevolazioni, tra cui l’abbattimento della base imponibile dei redditi erogati ai ricercatori, alle lavoratrici e ai lavoratori che rientrano in Italia dopo aver maturato un’esperienza lavorativa all’estero.
La bozza della nuova Certificazione Unica è disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate http://www.agenziaentrate.gov.it seguendo il percorso Home – Strumenti – Modelli – Modelli in bozza.
Requisiti professionali.
Ai sensi dell’art. 71 comma 6 del D.Lgs. del 26.3.2010, n. 59, ai fini dell’avvio dell’attività di vendita di prodotti alimentari è ritenuta valida la pratica professionale di un soggetto che ha svolto le mansioni di macellaio, presso una ditta esercente l’attività di macellazione e commercio all’ingrosso di carni, da oltre 5 anni, pur avendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato con la qualifica di magazziniere.
Risoluzione n. 61588 del 31.05.2010
Ai fini dell’avvio di una attività commerciale nel settore alimentare è considerato requisito valido il diploma di scuola secondaria superiore di “Perito agrario”, considerate le materie oggetto del corso di studio, nonché la capacità di formare figure professionali in grado di occuparsi dell’amministrazione di aziende agrarie e zootecniche curandone sia la fase di produzione che la commercializzazione dei prodotti.
Risoluzione n.86656 del 8 luglio 2010
L’attestato professionale conseguito a seguito della frequenza di un corso autorizzato da una regione ha validità in tutto il territorio nazionale.
Risoluzione n.93653 del 20 luglio 2010
La laurea in economia con indirizzo “gestione aziendale”, considerate le materie oggetto del corso di studio, nonché la capacità di formare figure professionali, può essere riconosciuto come requisito professionale valido per l’avvio dell’attività di vendita nel settore alimentare o di somministrazione. Il soggetto in possesso di tale titolo non è tenuto pertanto a frequentare ulteriori corsi professionali.
Risoluzione n.94953 del 22 luglio 2010
Il diploma triennale di qualifica “Addetti alla segreteria d’azienda”, conseguito presso un istituto statale per il commercio, nel cui percorso formativo è inclusa la materia “merceologia” e “tecnica amministrativa aziendale”, può essere riconosciuto come requisito professionale valido per l’avvio dell’attività di vendita di prodotti del settore merceologico alimentare. Dette materie, anche se non specificatamente relative ai soli prodotti alimentari, contenevano, anche in passato – nel caso di specie il diploma era stato conseguito nel 1975 -, nozioni di base assimilabili a quelle contenute in alcune materie attualmente incluse nei percorsi formativi tipici delle scuole ad indirizzo professionale per il commercio, che per il loro carattere generale sono certamente riferibili anche al commercio degli alimenti.
Risoluzione n.94958 del 22 luglio 2010
Ai fini del riconoscimento del requisito della pratica professionale ai sensi dell’art. 71 comma 6 lett.b) del d. lgs. 59/2010, occorre che l’esperienza lavorativa risulti acquisita nel quinquennio antecedente alla data di presentazione della domanda al Comune o, in caso di attività sottoposta a Dia, nel quinquennio antecedente la data di presentazione della dichiarazione di inizio attività (ora Scia).
Risoluzione n.95001 del 22 luglio 2010
L’associato in partecipazione può ritenersi in possesso del requisito prescritto dalla lett. b) dell’art. 71 comma 6 del D.lg. 59/2010, stante le caratteristiche del contratto di cui agli articoli dal 2549 al 2554 del codice civile e le modalità di coinvolgimento dell’associato nella gestione dell’impresa.
Risoluzione n.95101 del 22 luglio 2010
E’ consentito valutare positivamente richieste (opportunamente documentate) riferite a pratica professionale acquisita con un contratto di lavoro in part-time, purché il monte ore lavorato con contratto part-time risulti corrispondente almeno al 50% di quello con contratto a tempo pieno.
Risoluzione n. 128621 del 27.9.2010
Il diploma di “Maturità di Tecnica Femminile”, considerata la durata – nel caso di specie quinquennale – nonché le materie oggetto del corso di studio, può essere riconosciuto come requisito professionale valido per l’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Risoluzione n 132308 del 30.09.2010
L’art. 71 comma 6 lett b) del D.Lgs. del 26.3.2010, n. 59 non differenzia, ai fini dell’acquisizione dell’abilitazione professionale, fra attività svolta in qualità di dipendente qualificato nel settore del commercio o in quello della produzione artigianale, dal che si deduce che anche l’attività svolta per almeno due anni, anche non consecutivi, nell’ultimo quinquennio, presso imprese artigiane di produzione alimentare – nella specie pratica professionale di panettiere presso una ditta esercente l’attività di panificazione e commercio di pane e affini – può costituire requisito idoneo.
Risoluzione n. 138846 del 11.10.2010
Risoluzione n. 139019 del 11.10.2010
Pubblici esercizi
Subingresso
Ai fini della corretta applicazione dell’articolo 10, comma 2 lettere a) ed e) della Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, che prevede che i regimi di autorizzazione debbano basarsi su criteri non discriminatori ed oggettivi, la norma relativa ai termini da rispettare in caso di subingresso in un’attività di vendita o somministrazione di alimenti e bevande deve essere omogenea su tutto il territorio nazionale.
In caso di subingresso per atto tra vivi, in assenza del requisito professionale o in presenza di qualsiasi impedimento di altro genere, l’attività deve riprendere entro un anno dall’acquisto del titolo. Nel caso invece di subingresso mortis causa, se il subentrante non è in possesso del requisito professionale è tenuto ad acquisirlo entro sei mesi dall’apertura della successione, ciò in analogia con i termini concessi dall’amministrazione finanziaria ai fini della denuncia di successione. Detta disciplina prevale su eventuali disposizioni regionali difformi in quanto, come già precisato nella circolare 6 maggio 2010 n. 3635/c, le disposizioni del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 inerenti l’individuazione delle figure professionali e dei relativi profili ed eventuali titoli abilitanti, nonché la disciplina relativa all’avvio dell’attività, ivi comprese modalità e tempistica, non sono derogabili dalle leggi regionali di settore.
Risoluzione n. 129654 del 28.09.2010
Trasferimento di sede
E’ nel potere del comune negare il trasferimento di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande da una via all’altra, benché all’interno di una medesima zona, solo se comporta impatti negativi in ordine alla viabilità, alla tutela architettonica o all’ordine pubblico. Mentre, non è in linea con la ratio dell’art. 64 del D.lgs. 59/2010, l’eventuale diniego nel caso in cui il trasferimento di sede non comporti in alcun modo una variazione degli equilibri tutelati nell’ambito della programmazione che il Comune ha messo in atto.
Risoluzione n.94983 del 22 luglio 2010
Requisiti morali
Solo nel caso di condanna per la violazione degli articoli 718 (esercizio di giochi d’azzardo) e 720 (partecipazione ai giochi d’azzardo) del codice penale è applicabile il dispositivo dell’art. 71 comma 2 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ovvero l’ostatività ai fini dell’avvio e dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Risoluzione n.94947 del 22 luglio 2010
Commercio all’ingrosso. SCIA
L’istituto della SCIA è applicabile anche ai fini dell’avvio dell’attività di commercio all’ingrosso, trattandosi di attività per la quale non sussiste alcun margine di discrezionalità in capo all’autorità competente. Detta attività, inoltre, rientra tra quelle che possono essere avviate contestualmente alla comunicazione unica di cui all’art. 9 del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla Legge 2 aprile 2007, n. 40. Pertanto, per effetto dell’articolo 5 del DPR 7 settembre 2010, n. 160, contenente il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, la SCIA sarà presentata presso il registro Imprese, che la trasmetterà immediatamente al SUAP, il cui sistema informatico, in caso di verifica positiva della segnalazione, rilascerà ricevuta e trasmetterà la segnalazione e i relativi allegati in via telematica alle amministrazioni e agli uffici competenti.
Risoluzione n. 135873 del 6.10.2010
Commercio – Preposto
La possibilità di utilizzare la figura di un preposto in possesso della qualificazione professionale resta valida solo ed esclusivamente nel caso delle società. Infatti non è stata oggetto di abrogazione la disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 5 del citato d.lgs.114, la quale dispone espressamente che “in caso di società il possesso di uno dei requisiti di cui al comma 5 è richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra persona specificatamente preposta all’attività commerciale”. Il richiamo ai requisiti “di cui al comma 5” deve ovviamente intendersi riferito ai nuovi requisiti elencati al comma 6 dell’articolo 71 del Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.
Risoluzione n. 139010 del 11.10.2010
Commercio – Consumo sul posto.
Non sono ammissibili né manipolazioni né operazioni di cottura (anche parziali) sui prodotti alimentari venduti negli esercizi di vicinato. Di conseguenza, non possono essere utilizzati prodotti di gastronomia surgelati, al fine di consentirne il consumo sul posto, in quanto sarebbero sottoposti, seppure parzialmente, ad operazioni di cottura.
Risoluzione n.104291 del 6 agosto 2010
Commercio – Distributore automatico
La predisposizione, presso un impianto di distribuzione di carburante, di un area delimitata da tre pareti perimetrali lungo le quali sono posti i distributori automatici, stante le caratteristiche, non può configurarsi come un locale di vendita al quale applicare la disposizione di cui all’art. 17 comma 4 del D.lg. 114/98. Di conseguenza, l’avvio dell’attività è soggetta alla dichiarazione prevista dall’art. 67 comma 1 del D.lgs. 59/2010, redatta secondo le indicazioni contenute nell’art. 17 comma 3 del d.lgs.114.
Risoluzione n.94976 del 22 luglio 2010.
Commercio – Vendita a domicilio
La disciplina nazionale non richiede ai fini dello svolgimento dell’attività di vendita a domicilio né il possesso di un magazzino né di un locale.
Risoluzione n. 138852 del 11.10.2010
Direttiva Servizi – Applicabilità in assenza di recepimento regionale.
Fermo restando che le disposizioni del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.59 riconducibili alla competenza statale riservata non sono in alcun modo derogabili dalle leggi regionali di settore, per gli eventuali aspetti rientranti invece nelle competenze regionali le disposizioni contenute nel decreto legislativo, necessarie per consentire il completo adeguamento dell’ordinamento interno a quello comunitario entro il termine a tal fine stabilito, prevalgono su eventuali disposizioni regionali in contrasto, ma si applicano solo transitoriamente, fino all’adozione da parte delle regioni stesse delle norme di attuazione della direttiva comunitaria in argomento. Di conseguenza, come affermato anche in sede giurisprudenziale, eventuali ritardi nel recepimento da parte degli enti preposti non possono determinare limiti o ritardi all’avvio dell’attività, nel rispetto del dettato di cui all’articolo 41 della Costituzione.
Risoluzione n. 138830 del 11.10.2010