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IL RIPOSO GIORNALIERO

13/12/2017

di Gabriele D’Intino [*]

 

Sotto il profilo organizzativo spetta al datore di lavoro regolamentare la distribuzione giornaliera e settimanale dell’orario di lavoro, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge e dal contratto collettivo.

Il diritto positivo ammette qualsiasi accordo tra datore e lavoratore in merito all’articolazione dell’orario di lavoro, a condizione che siano rispettati i limiti di durata. Tuttavia, nella prassi i criteri di articolazione della prestazione lavorativa vengono stabiliti dalla contrattazione collettiva, che fissa la durata settimanale e il tipo di articolazione da praticare.

Uno dei limiti posti dal legislatore attiene alla durata minima del riposo da concedere al lavoratore subordinato nell’arco di una giornata lavorativa.

Per trattare in maniera compiuta l’argomento, bisogna individuare esattamente il concetto di orario di lavoro dal quale si può ricavare, per converso, il concetto di “periodo di riposo”.

L’art.1, co.2, lett. a), del D.Lgs.n.66/03, stabilisce che per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. La successiva lettera b) precisa che per periodo di riposo si intende “qualsiasi periodo che non rientri nell’orario di lavoro”.

I limiti posti dal legislatore sono volti ovviamente al contemperamento delle esigenze produttive con quelle di natura socio-sanitarie orientate alla tutela psico-fisica del lavoratore e permettergli una vita libera e dignitosa [1].

I profili inerenti l’organizzazione dell’orario di lavoro sono regolati nel nostro ordinamento dal D. Lgs. n. 66/2003 [2], in attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE; tale norma ha una portata di ambito generale ma non universale, come meglio si dirà in seguito.

L’art. 7 del citato decreto dispone che “Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata [3].

In proposito, la Circolare n. 8/2005 del MLPS, chiarisce che il periodo di riposo va calcolato dall’ora di inizio della prestazione lavorativa, rimanendo fissato in 40 ore la durata del normale orario di lavoro settimanale ovvero nel minor valore individuato dalla disciplina pattizia.

All’atto pratico, il lavoratore deve usufruire di un periodo di riposo consecutivo di 11 ore per ogni arco di tempo pari a 24 ore, considerate dall’inizio della prestazione lavorativa, salvo i casi di deroghe previste di cui si parlerà in seguito. In altre parole, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo ogni giorno, tra la fine del turno e l’inizio di quello successivo, e di ulteriori 24 ore di riposo (per un totale di 35 ore complessive) in occasione del riposo settimanale [4] .

Interpretando al “contrario”  la previsione dell’art. 7 possiamo desumere il limite orario giornaliero pari a 13 ore, compreso le pause (vedi infra), soddisfacendo, in tal modo, il principio sancito dalla Carta Costituzionale all’art. 36, comma 2.

Esempio tipico dell’omessa concessione del riposo giornaliero si configura allorquando il prestatore che osserva un’articolazione oraria su  tre turni, dalle 6,00 alle 14,00, dalle 14,00 alle 22,00 e dalle 22,00 alle 6,00, per 05 gg. a settimana dal lunedì al venerdì, dopo aver effettuato il secondo turno per l’intera settimana (14,00 alle 22,00) si reca il sabato mattina a lavoro per effettuare straordinario dalle ore 8,00 alle 14,00, riposando solo per n. 10 ore.  Altro esempio tipico si verifica quando la prestazione lavorativa si protrae per oltre 13 ore, residuando un arco di tempo inferiore alle 11 ore fino al raggiungimento della ventiquattresima ora dall’inizio della prestazione lavorativa.

Nel periodo di riposo non si computano i riposi intermedi nonché le pause di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e complessivamente non superiore a due ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesto alcun tipo di prestazione lavorativa in quanto non si tratta di un periodo di riposo continuativo. Questi periodi non rientrano nell’orario di lavoro né nel periodo di riposo (così testualmente Min. Lav., circ. 3.3.2005, n. 8).

Lavoro frazionato e reperibilità

Il secondo periodo del comma primo dell’art. 7 D. Lgs. n. 66/2003, nell’attuale formulazione introdotta dalla L. n. 133/2008, fa salve le “attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità”, in ordine alla consecutività del riposo giornaliero.

Per attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati si devono intendere:

1) le attività di ristorazione e le attività di pulizie, compresa la pulizia e il riassetto delle camere d’albergo (Min. Lav., circ. 29.9.2010, n. 34);

2) il cosiddetto “turno spezzato” (fermo l’obbligo di rispettare la durata dell’orario giornaliero), tipico del settore Turismo (Min. Lav., circ. 29.9.2010, n. 34);

3) le attività lavorative rese nell’ambito del lavoro a distanza o telelavoro (Min. Lav., nota 29.5.2008, n. 13);

4) le attività svolte in regime di reperibilità (Interpello MLPS n. 13/2008 del 29 maggio 2008).

Mentre, la reperibilità è un istituto che prevede la disponibilità del prestatore alla chiamata del datore di lavoro in caso di necessità lavorativa.

Come ribadito dalla giurisprudenza, anche a livello comunitario dalla Corte di Giustizia CE, Sentenza 3 ottobre 2000, n. 303, il servizio di mera reperibilità non rientra nell’orario di lavoro se non per il tempo in cui comporta l’effettiva prestazione lavorativa (si veda anche Cass. 15 maggio 2013 n. 11727; Cass. 28 giugno 2011, n. 14288; Cass. 19 novembre 2008 n. 27477; Cass. 7 giugno 1995 n. 6400).

Per entrambi i casi la contrattazione collettiva può legittimamente prevedere deroghe alla consecutività del riposo, come nel caso del CCNL Turismo che, in attuazione dell’art. 17, comma 1, del D. Lgs. n. 66/2003 (si veda sistema derogatorio), ha stabilito che in caso di attività di lavoro organizzate a turni settimanali o plurisettimanali, ogni volta che il lavoratore cambi squadra e non possa fruire, tra la fine del servizio di una squadra e l’inizio di quello della squadra successiva, del periodo di riposo giornaliero, lo stesso potrà essere fruito in forma frazionata, fermo restando il divieto della consecutività dei due turni.

A tal proposito, le considerazioni fornite dal MLPS, con Interpello n. 13/2008, riguardo all’interruzione del riposo giornaliero o settimanale per prestazioni da rendere in regime di reperibilità, con obbligo di far decorrere “nuovamente dalla cessazione della prestazione lavorativa, rimanendo escluso il computo di ore eventualmente già fruite”,  sono da riferirsi esclusivamente al riposo settimanale, in conformità di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale.

Connessioni con le pause e i riposi settimanali

Come già in parte evidenziato, l’istituto del riposo giornaliero ha inevitabili connessioni con le pause, disciplinate nel successivo articolo 8 e con il riposo settimanale, contemplato nell’articolo 9 del decreto in commento.

Dal testo letterale dell’art. 8 si evince che “qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa (..) di durata non inferiore a dieci minuti”; conseguentemente, la prestazione giornaliera, in definitiva, si potrà protrarre al massimo per 12 ore e 50 minuti.

Il relazione, invece, al cumulo fra riposo giornaliero e riposo settimanale [5], il MLPS, con Interpello n. 30/2007, ha confermato quanto già puntualizzato con circolare n. 8 dello stesso Dicastero, circa la sussistenza della fattispecie sanzionatoria in tutte le situazioni in cui, pur concedendo il riposo di 24 ore consecutive, il datore di lavoro non consenta il cumulo con il riposo giornaliero e cioè non conceda le 35 ore di riposo complessive. E’ stato precisato, altresì, che vi sono le eccezioni previste dall’art. 9, comma 2, lett. a), b) e c) e che legittimamente possono intervenire deroghe da parte della contrattazione collettiva, come previsto dalla successiva lett. d) dello stesso comma, “a condizione che la concreta soluzione organizzativa individuata dall’azienda consenta di evitare la deroga anche al principio di non sovrapponibilità (o “infungibilità”) dei due riposi. In tale ultimo caso, difatti, l’interpretazione della norma verrebbe a confliggere con quella fornita dalla Corte Costituzionale in materia di infungibilità tra le diverse tipologie di riposi (Corte Cost. 28 aprile 1976, n. 102)”. Infine, è stato precisato che “non può, dunque, ritenersi esteso al periodo di 35 ore il vincolo della consecutività (inderogabile) applicabile al singolo riposo settimanale di 24 ore”.

Esclusioni

Le disposizioni contenute nel D. Lgs. 66/2003 si applicano alla generalità dei lavoratori assunti con contratto di natura subordinata, ivi compresi gli apprendisti maggiorenni, occupati in tutti i settori di attività pubblici e privati.

Tuttavia, dal combinato disposto dell’art. 2 e dell’art. 17, comma 5, dello stesso decreto, possiamo ricavare le tipologie di lavoratori che sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni in tema di riposo giornaliero.

Infatti, l’art. 2 stabilisce l’esclusione assoluta da tutti gli istituti regolati dallo stesso decreto, con rimando alla normativa specifica, per i settori di seguito indicati:

-lavoro della gente di mare (Direttiva 1999/63/CE);

-personale di volo nell’aviazione civile (Direttiva 2000/79/CE);

-lavoratori mobili per quanto attiene ai profili di cui alla direttiva 2002/15/CE;

-personale della scuola;

-personale delle Forze di polizia  e delle Forze armate;

-agli addetti del servizio di polizia municipale e provinciale;

-addetti ai servizi di vigilanza privata (a seguito del D.L. n.112/08).

Mentre, nell’art. 17, comma 5, si fa esplicito riferimento all’esclusione dall’ambito di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, per i prestatori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:

  1. a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
  2. b) di manodopera familiare;
  3. c) di lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose;
  4. d) di prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro.

Infine, l’art. 2, comma 2, della disposizione normativa in esame, nei riguardi dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato, prevede l’esclusione dell’ambito di applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di protezione civile nonché degli altri servizi espletati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, così come individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Salute, dell’Economia e delle Finanze e per la Funzione Pubblica, da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo.

Sistema derogatorio

L’art. 17 del D. Lgs. n. 66/2003 si occupa del sistema derogatorio in materia di riposo giornaliero attribuendo un ruolo centrale alla disciplina pattizia e, in mancanza, un potere di intervento in capo al MLPS.

Il primo comma dell’art. 17 stabilisce che le disposizioni in materia di riposo giornaliero possono essere derogate mediante contratti collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Per il settore privato, in assenza di specifiche disposizioni nei CCNL le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Se la deroga è stata prevista già dal contratto collettivo nazionale di categoria, essa è immediatamente operativa, senza che vi sia alcuna necessità di una conferma ovvero della fissazione di una disciplina di dettaglio da parte della contrattazione di secondo livello (Min. Lav., nota 15.5.2009, n. 36).

Al riguardo giova rammentare che il menzionato decreto legislativo è stato emanato in attuazione della direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, successivamente sostituito dalla Direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE, che stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. Quest’ultima Direttiva all’art. 3, in materia di riposo giornaliero, ribadisce agli Stati membri che adottino le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive. Al successivo art. 17, comma 2^,  la medesima Direttiva precisa che le deroghe in materia di riposo giornaliero possono essere adottate con legge, regolamento o con provvedimento amministrativo, ovvero mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione  appropriata. In tale direzione si è mossa anche la Corte di Giustizia delle Comunità europee nella sentenza del 9 settembre 2003 (causa C-151/02, caso 3 Jaeger), che ha stabilito, riguardo ai periodi equivalenti di riposo compensativo, che “devono essere immediatamente successivi all’orario di lavoro che sono intesi a compensare, al fine di evitare uno stato di fatica o sovraccarico del lavoratore dovuti all’accumulo di periodo di lavoro consecutivi”.

Mentre, la stessa disposizione al comma 2 stabilisce che in mancanza di disciplina collettiva, il Ministero del lavoro, su richiesta delle OO.SS. nazionali di categoria comparativamente più rappresentative o delle associazioni nazionali di categoria dei datori di lavoro firmatarie dei CCNL, può adottare un decreto, per stabilire deroghe con riferimento:

  1. a) alle attività caratterizzate dalla distanza fra il luogo di lavoro e il luogo di residenza del lavoratore, compreso il lavoro offshore, oppure dalla distanza fra i suoi diversi luoghi di lavoro;
  2. b) alle attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità dì assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando sì tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza;
  3. c) alle attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta: di servizi relativi all’accettazione, al trattamento o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi, comprese le attività dei medici in formazione, da case di riposo e da carceri; del personale portuale o aeroportuale; di servizi della stampa, radiofonici, televisivi, di produzione cinematografica, postali o delle telecomunicazioni, di servizi di ambulanza, antincendio o di protezione civile; di servizi di produzione, di conduzione e distribuzione del gas, dell’acqua e dell’elettricità, di servizi di raccolta dei rifiuti domestici o degli impianti di incenerimento; di industrie in cui il lavoro non può essere interrotto per ragioni tecniche; di attività di ricerca e sviluppo; dell’agricoltura; di lavoratori operanti nei servizi regolari di trasporto passeggeri in ambito urbano;
  4. d) in caso di sovraccarico prevedibile di attività, e in particolare: nell’agricoltura; nel turismo; nei servizi postali;
  5. e) per personale che lavora nei settore dei trasporti ferroviari: per le attività discontinue; per il servizio prestato a bordo dei treni; per le attività connesse al trasporto ferroviario e che assicurano la regolarità del traffico ferroviario;
  6. f) a fatti dovuti a circostanze estranee al datore di lavoro, eccezionali e imprevedibili o eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili malgrado la diligenza osservata;
  7. g) in caso di incidente o di rischio di incidente imminente.

Alle stesse condizioni di cui sopra, si può derogare alla disciplina di cui all’articolo 7: a) per l’attività di lavoro a turni tutte le volte in cui il lavoratore cambia squadra e non può usufruire tra la fine del servizio di una squadra e l’inizio di quello della squadra successiva di periodi di riposo giornaliero; b) per le attività caratterizzate da periodo di lavoro frazionati durante la giornata, in particolare del personale addetto alle attività dì pulizie (art. 17, co. 3, D. Lgs. 8.4.2003, n. 66).

In tutti i casi sopra richiamati le deroghe sono ammesse solo a condizione che ai lavoratori siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata (art. 17, co. 4, D. Lgs. 8.4.2003, n. 66).

Personale di ruolo del Servizio sanitario nazionale

Un cenno particolare merita il personale delle aree dirigenziali e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, alla luce di una recente risposta ad interpello da parte del MLPS circa l’applicabilità delle disposizioni in materia di orario di lavoro ai prestatori del settore della sanità privata[6].

In ordine ai profili organizzativi concernenti l’orario di lavoro e la disciplina dei riposi, va evidenziato che l’art. 17, comma 6-bis, del D. Lgs. n. 66/2003, così come introdotto dall’art. 3, comma 85, della L. 24/12/2007, n. 244, a decorrere dal 01/01/2008, prevedeva che le disposizioni di cui all’art.7 del medesimo decreto in tema di riposo giornaliero non si applicavano al personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, per il quale si faceva riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali di protezione della sicurezza dei lavoratori.

A seguito di Procedura di infrazione n. 2011/4185, inoltrata dall’Unione Europea nei confronti dello Stato italiano, proprio in materia di orario di lavoro del personale di ruolo del SSN, il legislatore ha posto rimedio alla violazione della normativa comunitaria con l’art. 14 della L. n. 161/2014, che ha previsto l’abrogazione del citato comma 6-bis con decorrenza dal 25/11/2015. In tal modo, è stata reintrodotta l’applicabilità delle disposizioni previgenti in materia anche per il personale del comparto sanità pubblica e, conseguentemente,  il c.d. “obbligo di garanzia” di cui al comma 4^ del richiamato art. 17 del D.Lgs. n. 66/2003, in caso di previsione -da parte della contrattazione collettiva- di deroghe alla disciplina del riposo giornaliero, così come accade per tutti gli altri settori lavorativi.

Personale addetto ai servizi di vigilanza privata

A seguito della novella introdotta dalla L. n. 133/2008 il personale addetto a tali servizi è escluso dall’ambito di applicazione dei profili organizzativi legati alla disciplina dell’orario di lavoro di cui al decreto in commento. A riguardo, il D. M. 27/4/2006 in materia di orario di lavoro delle guardie particolari giurate, stabilisce la deroga in tema di organizzazione e gestione flessibile dell’orario di lavoro al fine del perseguimento delle preminenti esigenze di sicurezza, attribuendo alla contrattazione collettiva la prerogativa di fissare i limiti necessari della prestazione lavorativa giornaliera, notturna e straordinaria nel rispetto della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nonché le deroghe in materia di pause e riposi giornalieri (si veda in proposito Interpello MLPS n. 20/2009 del 20/3/2009).

Pluralità di rapporti di lavoro

Nel nostro ordinamento non è contemplato alcun divieto di cumulo tra più rapporti contrattuali di lavoro nel settore privato. Anche nel caso di pluralità di rapporti in capo allo stesso prestatore, sussiste l’obbligo del rispetto dell’art. 7 del D. Lgs. n. 66/2003 in materia di riposo giornaliero di undici ore nell’arco delle 24, previsto a tutela della salute e dell’integrità psicofisica del lavoratore (Min. Lav., nota 16.6.2008, n. 19).

Ai fini della fruizione del riposo, il lavoratore ha l’onere di comunicare ai datori di lavoro l’ammontare delle ore in cui può prestare la propria attività nel rispetto dei limiti indicati e fornire ogni altra informazione utile in tal senso (Min. Lav., circ. 3.3.2005, n. 8).

Il personale viaggiante

Le attività di trasporto – se prevalenti sul resto delle attività svolte dall’azienda – rientrano nelle fattispecie disciplinate dalla direttiva 2002/15/CE recepita con il D. Lgs. 234/2007, in materia di lavoratori mobili e non sono soggette alla disciplina dell’orario di lavoro (art. 2 D. Lgs. 8.4.2003, n. 66), compresa quella dei riposi giornalieri, settimanali e delle pause (art. 17, co. 6, D. Lgs. 8.4.2003, n. 66); nel caso inverso in cui il datore di lavoro valuti come prevalenti le altre attività lavorative, diverse da quella di trasporto, i lavoratori interessati beneficiano di tutte le tutele del D. Lgs. 8.4.2003, n. 66; qualora il datore di lavoro non sia in grado di individuare l’attività prevalente, dovrà applicare la disciplina di maggior tutela per il lavoratore (Min. lav., nota 20.3.2009, n. 27).

Il sistema sanzionatorio

Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro ometta di concedere il prescritto riposo giornaliero, di cui al più volte richiamato art. 7 del D. Lgs. n. 66/2003, soggiace ad una sanzione amministrativa pecuniaria non diffidabile.

In materia si è assistito ad una serie di interventi del legislatore nel corso degli anni, a riprova dell’importanza riservata alla tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore e alla necessità di reintegrare le sue energie. Si pensi alla sospensione dell’attività imprenditoriale che era prevista in passato nei casi di sistematica violazione del riposo giornaliero oppure al D.L. 23.12.2013, n. 145, che aveva previsto l’aumento di 10 volte della sanzione all’epoca in vigore, modificata poi da parte della legge di conversione.

La fonte sanzionatoria si rinviene nell’art. 18-bis del prefato decreto legislativo, inizialmente introdotto dal D. Lgs. n. 213/2004 e di seguito modificato dalla L. n. 133/2008, dalla L. n. 183/2010 e, da ultimo, dall’art. 14, comma 1, lett. c) D.L. 23 dicembre 2013, n.145, convertito, con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9.

L’attuale formulazione, in vigore dal 22.2.2014, contrariamente a quanto previsto in passato, prevede una graduazione delle sanzioni in base al numero dei lavoratori coinvolti ovvero ai periodi di 24 ore per i quali si è verificata la violazione in relazione al singolo lavoratore, con importi raddoppiati rispetto alle previsioni di cui alla L. n. 183/2010 in vigore fino al 21.2.2014, come di seguito specificato.

-Per le violazioni fino a 5 lavoratori o 2 periodi di riferimento per uno stesso prestatore, nella cornice edittale da 100 a 300 Euro con ammissione alla conciliazione amministrativa e, quindi, ridotta ex art. 16, L. n. 689/81 ad Euro 100.

-Per violazioni che coinvolgono più di 5 lavoratori o almeno 3 periodi di riferimento per uno stesso prestatore, nella cornice edittale da 600 a 2.000 Euro con ammissione alla conciliazione amministrativa e, quindi, ridotta ex art. 16, L. n. 689/81 ad Euro 666,67.

-Se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori o almeno 5 periodi di riferimento per uno stesso prestatore, nella cornice edittale da 1.800 a 3.000 Euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta ex art. 16, L. n. 689/81, pertanto l’autorità competente, qualora ritenga fondato l’accertamento, determina, con ordinanza motivata, le somme dovute per la violazione e ne ingiunge il pagamento.

In caso di mancata concessione del riposo a una pluralità di lavoratori non può parlarsi di violazione commessa con un’unica azione od omissione e non può dunque trovare applicazione il beneficio del cumulo giuridico previsto dall’art. 8 della legge n. 689/1981 (Trib. Milano 26.11.2009).

E’ ammessa, mediante successivo provvedimento di ordinanza ingiunzione, la rideterminazione dell’importo sanzionatorio, già quantificato ai sensi dell’art. 16, L. n. 689/1981, a condizione che dagli atti istruttori emergano elementi atti a configurare l’unicità della condotta illecita a fronte della pluralità di violazioni. A tale riguardo, con riferimento alla fase ispettiva, gli ispettori hanno il dovere di fornire al Direttore gli elementi utili per evidenziare tale unicità d’azione (Min. Lav., nota 19.10.2009, n. 76).

Cause ostative alla verifica della regolarità contributiva

Le violazioni delle disposizioni di cui agli art. 7 e 9 D. Lgs. n. 66/2003, rispettivamente in tema di riposo giornaliero e settimanale, sono cause ostative al rilascio del DURC per un arco di tempo pari a 3 mesi, qualora siano accertati con provvedimenti amministrativi e giurisdizionali definitivi e siano riferiti ad un numero di lavoratori pari al 20% del totale della manodopera regolarmente impiegata (Decreto  interministeriale 30 gennaio 2015).

Sistematica violazione della normativa in materia di orario di lavoro

La sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria e alle ferie, se svolta nell’ambito di un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa, caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, integra uno degli indici di sfruttamento dei lavoratori e può comportare, ove accertata, la configurabilità del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.).

 

[*] Ispettore del lavoro in servizio presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Chieti-Pescara, sede di Chieti.

 

 

 

Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.

[1] In primis quanto scolpito nell’art 36, comma 2, della Costituzione, in ordine all’operatività del principio di legalità circa i limiti da apporre alla durata della prestazione lavorativa.

[2] In materia di orario di lavoro si sono verificati molteplici interventi del legislatore, a partire dal Regio decreto-legge 15 marzo 1923, n.692 (convertito nella legge 17 aprile 1925, n.473), successivamente completato dagli artt.2107, 2108 e 2109 c.c., nonché dall’art.36 della Costituzione. A seguito della condanna dell’Italia, ad opera della Corte di Giustizia europea, per l’inosservanza alla direttiva 1993/204/Ce, così come modificata dalla direttiva 2000/34/Ce, lo stesso legislatore è intervenuto in varie battute sulla normativa di riferimento: prima, in tema di orario settimanale con la L.n.196/97, poi, in materia di lavoro straordinario, con la L. n.409/98 e, infine, sul lavoro notturno, con il D.Lgs. n.532/99. In realtà, la piena ottemperanza alle istanze comunitarie è avvenuta solo con il D.Lgs. n.66/03, che ha ridefinito in maniera organica tutta la materia sull’orario di lavoro. Tale disciplina ha recentemente subito delle importanti modifiche ad opera della L.n.133/08, D.L. 23 dicembre 2013, n. 245, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2014, n.9, sia dal punto di vista applicativo sia da un punto di vista sanzionatorio.

[3] Comma così modificato dall’art. 41, comma 4, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

[4] In questi termini Tribunale di Torino, Sezione Lavoro civile, Sentenza del 31 gennaio 2008, n. 200.

[5]L’articolo 9 del D. Lgs. n.66/03, così come modificato dalla L. n.133/08, stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un

periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo

giornaliero di cui all’art.7; il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.

[6]Con Interpello n. 4/2017 del 28/11/2017 il MLPS ha chiarito che la disciplina derogatoria di cui all’art. 17, comma 6-bis del D. Lgs. n. 66/2003, peraltro attualmente abrogata, riguarda esclusivamente il personale appartenente ai ruoli del Servizio sanitario nazionale e non può in alcun modo essere riferita al personale sanitario in servizio presso le strutture private, per il quale trova piena applicazione la disciplina prevista dalla contrattazione di settore, nel rispetto del sistema derogatorio generale.

Distacco dei lavoratori: indici di genuinità e conseguenze di condotte illecite.

04/12/2017

di Gianluigi Pascuzzi [*]

 

Il distacco è uno di quegli istituti per i quali il nostro ordinamento legittima, condizionandolo al rispetto di determinati presupposti, una dissociazione tra datore di lavoro formale (titolare del rapporto di lavoro) e fruitore effettivo della prestazione.

Il D.lgs. n. 276/2003 ha per la prima volta disciplinato tale istituto all’art. 30 (norma integrata e modificata dai D.lgs. n. 251/2004 e D.l. n. 76/2013 convertito in legge n. 99/2013), codificandone i presupposti di legittimità mutuandoli dalla giurisprudenza consolidata.

Se correttamente utilizzato, tale istituto consente la messa a disposizione di alcuni dipendenti a favore di altri soggetti, soddisfacendo molteplici esigenze.

Preme evidenziare che tale atto organizzativo è astrattamente riconducibile alla sfera tecnica, produttiva ed organizzativa del distaccante, quale esercizio del potere datoriale, purché effettivamente esistente. Nel settore edile il ricorso al distacco, oltre che per le motivazioni ordinariamente vigenti, è praticabile per la salvaguardia delle professionalità dei lavoratori (art. 96 CCNL edilizia). Tale disposizione così come attestato dalla nota del Ministero del Lavoro n° 1006 del 11 luglio 2005 non si pone ”…in contraddizione con l’articolo 30 del D.lgs 276 2003, ben potendo rientrare la salvaguardia delle professionalità dei lavoratori distaccati nella più ampia categoria degli interessi economico produttivi di un impresa“.

 

Per espressa previsione dell’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, si realizza un distacco, quando un datore di lavoro (c.d. distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (c.d. distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

L’effetto immediato è che viene a definirsi una separazione tra la titolarità del rapporto di lavoro e l’esercizio del potere direttivo e organizzativo.

I presupposti di legittimità del distacco sono essenzialmente due:

1) interesse del distaccante;

2) temporaneità;

ai fini di una effettiva genuinità dell’istituto entrambi devono sussistere simultaneamente.

Dalla lettura della norma si evince inoltre, che i soggetti interessati debbano giocoforza essere due un datore di lavoro (distaccante) titolare del rapporto di lavoro e un datore di lavoro (distaccatario) beneficiario della prestazione. La giurisprudenza ammette che il distacco possa avvenire anche a tempo parziale. Per cui potrebbe legittimamente verificarsi che il lavoratore effettui la propria prestazione, nell’arco della stessa giornata e/o settimana, sia per il distaccate che per il  distaccatario.

L’elemento determinante affinché si possa delineare nettamente il confine tra liceità del distacco e somministrazione di manodopera, è l’interesse del datore di lavoro distaccante (Cass. 16.2.2000, n. 1733).

L’interesse del distaccante, secondo quanto chiarito dalla circolare 28/2005 del Ministero del Lavoro, deve essere “specifico, rilevante, concreto e persistente.”

Con la Circ. 3/2004, il Ministero ha altresì precisato che l’interesse non può consistere in ragioni meramente economiche (un guadagno o un corrispettivo); devono rilevarsi ragioni produttive del distaccante che non coincidano con quello della mera somministrazione di lavoro.

L’interesse del distaccante deve avere carattere oggettivo, deve, quindi, essere apprezzabile all’esterno del rapporto di lavoro, deve permanere per tutta la durata del distacco, può consistere nell’esigenza di formazione di un proprio dipendente, coincidere con il soddisfacimento diretto o indiretto di concrete esigenze inerenti l’impresa distaccante. Considerato che la temporaneità è definibile come un “co-requisito”, l’interesse non può derivare da stabili esigenze produttive ed organizzative dell’impresa distaccante.

Sulla natura dell’interesse il Ministero del Lavoro precisa che questo deve essere riconducibile a oggettive ragioni produttive (Circ. 3/04), ma non deve coincidere con la mera somministrazione di lavoro.

         Un interesse tutelato è stato, altresì, codificato con l’introduzione del comma 4 ter art. 30 del D.lgs 276/03 ad opera del D.l. 28 giugno 2013, n. 76 (in G.U. 28/06/2013, n.150), convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 99 (in G.U. 22/08/2013, n. 196), con l’art. 7, comma 2, lettera 0),  secondo il quale “Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete”.

Nella prassi è consuetudine che le parti concordino un restituzione degli oneri connessi al trattamento economico del dipendente. Tale indennizzo, ritenuto legittimo dalla giurisprudenza (Cass. Sez. Unite 1751/1989) tuttavia, non può superare quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro distaccante al lavoratore, ossia non potrà superare il costo aziendale sostenuto per il lavoratore distaccato durante il periodo di distacco e difficilmente potrà essere comprensivo di ulteriori oneri (per esempio quelli relativi alle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro). Diversamente, si ricadrebbe nei casi di illecita somministrazione di manodopera.

L’altro elemento che legittima il distacco è la temporaneità intesa nel senso di non definitività e collegata con la persistenza (per l’intera durata) dell’interesse del datore distaccante.

Il distacco sempre secondo quanto risposto dall’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, prevede il consenso del lavoratore, che è necessario però solo se vi sia un mutamento delle mansioni del dipendente. Laddove invece il distacco non comporti mutamento di mansioni, il datore può disporre unilateralmente il distacco, nell’ambito del suo potere direttivo e organizzativo, e ciò anche se il distacco comporti trasferimento geografico del dipendente.

In merito la norma al comma 3 secondo capoverso ha previsto che quando il distacco comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Il CCNL edilizia, invece, prevede che il consenso del lavoratore sia sempre necessario. In merito la sopra citata nota del Ministero del lavoro (n° 1006 del 11/07/2005) rileva che ….”La norma contrattuale, nel prevedere il consenso del lavoratore ai fini del distacco, si configura quale norma di maggior favore rispetto a quanto previsto dall’art. 30 del D. Lgs. 276/03, il quale invece stabilisce che il consenso del personale da distaccare si debba richiedere solo quando il distacco “comporti un mutamento delle mansioni”. La norma contrattuale appare pertanto pienamente compatibile con la previsione di cui all’articolo 30 D.Lgs 276/2003 essendo certamente consentito alle parti stabilire deroghe in melius rispetto alla fonte normativa”.

Il  datore distaccante deve comunicare l’avvenuto distacco entro 5 giorni con il modello UniLav.   Inoltre, seppur gli obblighi assicurativi restano in capo al datore distaccante (Circolari del Ministero del Lavoro n. 3/2004 e n. 28/2005), quest’ultimo deve comunicare (denuncia di variazione ex art. 12 DPR 1124/65) al competente ufficio INAIL i dati necessari per il calcolo del premio (attività e retribuzioni  del lavoratore distaccato, codice fiscale della ditta distaccataria). Potrebbe, infatti, verificarsi la possibilità che le ditte interessate (distaccante e distaccatario) possano essere collocate in gestioni tariffarie e o voci di classificazione del rischio differenti con la conseguente difformità di tasso applicato/applicabile (circolare Inail nr. 39 del 2 agosto 2005). Questo comporterebbe l’applicazione di una sanzione amministrativa (per omessa denuncia di variazione nel termine dei 30 giorni dall’evento) o una sanzione civile qualora vi fosse connessione con gli obblighi assicurativi (ovvero nel caso in cui il tasso applicabile dovesse essere maggiore e generare una richiesta premio).

I rapporti tra le imprese interessate possono essere regolati anche da un formale accordo di distacco, tuttavia non è previsto alcun obbligo benché sarebbe consigliabile la forma scritta, per disciplinare gli accordi economici raggiunti dalle parti.

Come anticipato, durante il distacco avviene una separazione tra la titolarità formale e quella sostanziale del rapporto. La prima rimane in capo al datore distaccante, mentre la seconda viene trasferita in capo al distaccatario. Appare opportuno, tuttavia, rilevare come con il D.l 76/2013, che ha introdotto il comma 4 ter all’art. 30 del D.lgs. n. 276/2003, il Legislatore, oltre a configurare “automaticamente” l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete, abbia previsto “la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso” (cir 35/2013 Ministero del Lavoro).

Il distaccante rimane titolare del rapporto di lavoro pertanto ad egli compete il trattamento economico e normativo (art. 30 del D.lgs.n. 27672003); quello contributivo (Circolare del Ministero del lavoro n. 3/2004) e assicurativo (il premio INAIL verrà calcolato sulla base di premi e tariffe applicati al distaccatario). A questi oneri vanno anche aggiunti tutti quelli connessi alla sicurezza e disciplinati dall’art. 3, comma 6, del D.lgs 81/2008, dove è previsto che “…tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato”.

 

Da quanto sopra si evidenzia che sarà sicuramente illegittimo il distacco quando l’interesse che il distaccante intenda soddisfare sia unicamente quello di percepire un corrispettivo o anche solo risparmiare sul costo del lavoro, trattandosi in tal caso di attività del tutto coincidente con la somministrazione di manodopera, consentita dallo stesso d.lgs. n.276/2003 solo alle agenzie per il lavoro autorizzate (Ministero del lavoro, Circolare n. 28/2005). Le due fattispecie, infatti, si differenziano proprio per l’elemento dell’interesse funzionale e sostanziale del titolare del rapporto di lavoro: il somministratore infatti realizza il proprio interesse con il fine di lucro, mentre, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato. Altrettanto illecito è il distacco che soddisfi unicamente le esigenze dell’impresa distaccataria.

Conseguenze sanzionatorie del distacco illecito.

Il distacco privo dei requisiti, ed in particolare di quello preminente dell’interesse del distaccante,  snatura nella interposizione illecita da pseudo-distacco, che vede coinvolti, dal punto di vista sanzionatorio, entrambi i soggetti (distaccante e distaccatario) in egual misura.

L’illecito non ha più rilevanza penale in quanto è stato interessato dalle modifiche introdotte con il D.lgs 8/2016, pertanto l’utilizzatore (distaccatario) ed il somministratore (distaccante) sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 50 per ogni occupato e per ogni giornata di occupazione. La suddetta sanzione, in ogni caso, non può essere inferiore ad euro 5.000,00 né superiore ad euro 50.000,00.

Il D.lgs 08/2016 ha previsto un regime ordinario (quello in esempio disciplinato dagli art. 1 e 6) e un regime applicabile per le condotte consumate fino al 06/02/2016. Se le condotte illecite sono iniziate e cessate prima del 6 febbraio 2016, “…si applicano le disposizioni ex artt. 8 (applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse) e 9 (trasmissione degli atti all’autorità amministrativa (regime intertemporale) (Circolare Ministero del Lavoro 6/2016).

Da quanto sopra consegue che la sanzione amministrativa irrogata ai trasgressori, determinata ai sensi dell’art. 16 della Legge 689/81, non potrà  essere comunque inferiore a euro 1.666,67, né superiore ai 16.666,67, prevedendo invece tutte le ipotesi intermedie, allorquando le giornate (lavoratori) complessivamente contestate e oggetto di distacco illecito risultino comprese tra le 101 e le 999. Nei casi di cui sopra, infatti, la sanzione seguirà le regole generali dovendosi applicare nella misura di 1/3 di 50 € per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione.

La depenalizzazione dell’illecito, pur spostando sul piano amministrativo la condotta, ha  comportato un rilevante inasprimento della pretesa economica dello Stato. Per cui è necessario porre una maggiore attenzione sulla reale opportunità di procedere al distacco, interrogandosi profondamente e onestamente su quale sia il reale interesse che si intende premiare, proprio in considerazione che anche per pochi lavoratori o poche giornate effettivamente prestate la sanzione applicabile non risulterà inferiore ai 5.000,00 (1.666,67 ridotta ai sensi dell’art. 16 L. 689/81).

Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.

 

[*] Ispettore del lavoro in servizio presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Chieti-Pescara, sede di Chieti.