Archive for Maggio 2013

GARANTE PROTEZIONE DATI: PREDISPOSTA NUOVA GUIDA PER AIUTARE IMPRESE

30/05/2013

 Con  comunicato del 27 maggio 20123,il Garante della protezione dei dati personali evidenzia   che   la  corretta adozione di semplici misure a protezione dei dati personali può contribuire a rendere più efficiente l’organizzazione dell’impresa e a ridurre sensibilmente i potenziali rischi a cui la stessa si espone sul mercato, ma può rappresentare anche un vantaggio competitivo.

Per questi motivi, l’Autorità ha predisposto una breve guida – “La privacy dalla parte dell’impresa – Dieci pratiche aziendali per migliorare il proprio business”.

L’obiettivo è quello di aiutare le imprese a valorizzare il proprio patrimonio dati, trasformando la privacy da costo a risorsa, senza per questo ridurre le tutele dei diritti fondamentali della persona.

Il Garante per la privacy ha individuato dieci “best practice” che possono migliorare non solo l’immagine dell’impresa, come soggetto attento al principio di “responsabilità sociale”, ma anche la propria capacità di business, aumentando la fiducia di utenti e consumatori nella serietà e affidabilità dell’attore economico.

Il vademecum richiama regole fondamentali e consigli pratici – che vanno dalla selezione del personale all’uso delle nuove tecnologie, dalla trasparenza alle misure di sicurezza – per utilizzare e proteggere al meglio i dati personali trattati. L’imprenditore potrà trovare anche riferimenti alle principali modalità semplificate che l’Autorità ha, nel tempo, indicato alle aziende per ottenere una conformità sostanziale alla protezione dei dati, evitando attività inutili e meramente formali.

La guida

La guida è suddivisa in dieci brevi capitoli: “Il valore dei dati”; “A ciascuno le sue responsabilità”; “Trasparenza e correttezza nel business”; “Curriculum & Co.”; “Trattamenti “a rischio””; “Tecnologie per l’impresa”; “Difesa del patrimonio dati”; “Controllo del “controllore informatico””; “L’ “export” dei dati”; “Verso una “customer care dei dati””. Ogni capitolo affronta una differente pratica aziendale e alcuni dei benefici diretti e indiretti generati dalle misure adottate per tutelare i dati personali.

La nuova guida sarà distribuita al Forum Pa, in programma dal 28 al 30 maggio 2013 al Palazzo dei Congressi di Roma, presso lo stand del Garante.

In alternativa, copia in formato cartaceo potrà essere richiesta all’Ufficio stampa dell’Autorità, Piazza di Monte Citorio n. 121 – 00186 Roma, e-mail: ufficiostampa@garanteprivacy.it, oppure scaricata in formato elettronico dal sito Internet www.garanteprivacy.it

CONTACT CENTER CONGIUNTO INPS-INAIL

30/05/2013

Si riporta il comunucato dell’Inps del 27 maggio 2013 relativo all’argomento del titolo.

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Nell’ambito del processo di integrazione degli Enti soppressi, a partire dal 1 giugno 2013, il servizio di gestione dei contatti telefonici tramite il Contact Center INPS-INAIL sarà completamente integrato e armonizzato.

Pertanto, anche per l’utenza ex-Enpals, gli operatori telefonici che rispondono al numero verde 803.164 (gratuito per le sole chiamate da telefono fisso) e 06.164.164 (per le chiamate da cellulare, con costo della chiamata a carico del chiamante) saranno attivi dal lunedì al venerdì dalle ore 8:00 alle 20:00 ed il sabato dalle ore 8:00 alle 14:00.

COMPORTA INDENNITA’ FORFETIZZATA TRASFORMAZIONE DA INTERINALE A TERMINE IN SUBORDINATO A TEMPOINDETERMINATO

30/05/2013

Nei termini di cui al titolo si è pronunciuata la Corte di Cassazione con la sottostante sentenza  n.13404/13-,che richiama l’art.32 della legge n.183/2010

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Ragioni della decisione

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 1° settembre 2010, che ha rigettato l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di quella città aveva accolto la domanda di E.C..

2. Il signor C. ha lavorato in Poste italiane spa, impresa utilizzatrice di un contratto di fornitura di lavoro temporaneo stipulato con A. spa, per una pluralità di periodi, a cominciare da un primo lavoro a tempo determinato iniziato il 7 gennaio 2003 e terminato nell’aprile di quello stesso anno.

3. Tribunale e Corte d’appello, accogliendo la domanda del lavoratore hanno ritenuto che la causale del contratto, “casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”, fosse “del tutto generica ed inidonea ad integrare i requisiti di specificità richiesti dalla legge n. 196 del 1997”.

4. Per tale motivo hanno ritenuto che il contratto a tempo determinato stipulato tra il C. e la A. spa si considera direttamente intervenuto tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice, Poste italiane spa, con decorrenza dal giorno dell’assunzione e si considera a tempo indeterminato. Di conseguenza, la società utilizzatrice è stata condannata a riammettere il lavoratore in servizio e a corrispondergli per il periodo pregresso le retribuzioni maturate dal giorno della messa in mora, detratto l’aliunde perceptum.

5. Poste italiane spa articola sei motivi di ricorso. Il lavoratore si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

6. Con il primo motivo la società denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.)”, assumendo che la sentenza incorre in una contraddizione perché da un lato riconosce la correttezza formale del contratto di fornitura per il quale non era necessaria l’indicazione della causale e dall’altro ha posto in capo a Poste italiane spa, un’omissione contenuta invece nell’autonomo contratto tra impresa fornitrice e lavoratore. Un ulteriore vizio riguarderebbe la carenza di motivazione circa la pretesa automatica instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra utilizzatore e lavoratore.

7. La censura, prima ancora che infondata nel merito (e, peraltro, basata sulla attribuzione alla sentenza di una affermazione che questa non compie), è inammissibile, perché il motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c, deve riguardare la motivazione in ordine alla sussistenza di un fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo. La società ricorrente non ha indicato il fatto, né, tanto meno, ha spiegato perché sarebbe controverso e decisivo. Per giurisprudenza consolidata, “Il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805; cfr., anche, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).

8. Con il secondo motivo la società denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. Il vizio è così sintetizzato nel quesito di diritto: “Se, laddove l’impresa utilizzatrice non abbia violato alcuna delle disposizioni dell’art. 1 della legge 196 del 1997 e sia stato stipulato un regolare contratto di fornitura, sia possibile applicare la disciplina di cui all’art. 10 della stessa legge o, comunque, dichiarare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore interinale a seguito della omessa indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale (art. 3, terzo comma, lett. a)”.

9. Connesso è il terzo motivo, con il quale parimenti si denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. Con il quesito di diritto, a conclusione del motivo, si chiede di stabilire se l’indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale sia essenziale; se le sanzioni previste dall’art. 10 siano tassative e non estensibili per analogia; se l’omissione di tale indicazione possa dar luogo alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore ed impresa beneficiaria, ancorché tale sanzione non sia prevista dall’art. 10, che nel più grave caso di omissione di forma scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo prevede la trasformazione del contratto a tempo indeterminato con l’impresa fornitrice”.

10. I due motivi, in cui si denunzia la violazione delle medesime norme, come si è detto, sono connessi e devono quindi essere esaminati congiuntamente.

11. La norma di riferimento è l’art. 1, secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti ipotesi: “a) nei casi previsti dai ceni della categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4” (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo).

12. La causale indicata nel contratto di fornitura in esame è la seguente: “Casi previsti dai ceni della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”.

13. Il contratto, pertanto, invece di specificare la causale all’interno delle categorie consentite dalla legge, si limita a riprodurre il testo della lett. a) dell’art. 1 della legge, senza compiere alcuna specificazione: non si specifica a quali contratti collettivi nazionali applicabili all’impresa utilizzatrice si fa riferimento, né, tanto meno, come sarebbe necessario, a quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si fa riferimento.

14. La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione dell’art. 1, primo e secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel secondo comma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa.

15. Altro problema, poi, è quello di stabilire, a fronte di un contratto di fornitura illegittimo, quali sanzioni sono previste dalla legge e nei confronti di quali soggetti. Le legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta legislativa i vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia interinale e impresa utilizzatrice si riflettono sul contratto di lavoro.

16. L’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, primo comma, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che “i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.

17. In tal senso questa S.C. si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori approfondimenti.

18. Le medesime sentenze hanno precisato che quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal decreto legislativo 368 del 2001, o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. 1148 del 2013 e Cass. 6933 del 2012).

19. L’effetto finale in questi casi è la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l’utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.

20. Pertanto, la conclusione cui sono giunti il Tribunale e la Corte d’appello di Milano è pienamente conforme alla legge ed il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere rigettati.

21. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della legge 56 del 1987, ponendo il seguente quesito: “se il contratto di lavoro che, ancorché stipulato in base alla legge 196 del 1997, abbia i requisiti previsti per il contratto a termine, possa e debba nel nostro caso essere valutato, ai fini della legittimità, in base alla disciplina prevista per il contratto a termine”. Il motivo è infondato, perché, come si è già messo in evidenza, dei requisiti richiesti dalla disciplina del contratto a termine prevista dal decreto legislativo 368 del 2001 o dalla legislazione previgente, manca necessariamente, quanto meno, quello della forma scritta.

22. Con il quinto motivo si denunzia violazione della norme sulla messa in mora assumendo che né la richiesta di tentativo di conciliazione, né il ricorso introduttivo contenevano un atto di tale natura.

23. Questo motivo rimane assorbito a causa dell’accoglimento del sesto ed ultimo motivo, concernente l’applicabilità alla controversia in esame dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Motivo deve che essere parzialmente accolto per le seguenti ragioni.

24. Il quinto comma dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 recita: “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

25. Il problema interpretativo è di stabilire se la formula “casi di conversione del contratto a tempo determinato”, riguardi anche i contratti di lavoro temporaneo.

26. Al problema la giurisprudenza di merito ha dato soluzioni diverse, nessuna delle quali può dirsi prevalente. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 303 del 2012, ha dato un’indicazione, ma non vincolante e limitata ad un inciso, peraltro riguardante il contratto di somministrazione, in una sentenza focalizzata su altro problema.

27. Ribadendo quanto osservato con la sentenza n. 1148 del 2013, deve ritenersi che il quinto comma dell’art. 32 cit. riguardi anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dall’art. 3, primo comma, lett. a) della legge 24 giugno 1997, n. 196.

28. Deve in primo luogo rilevarsi che il quinto comma dell’art. 32 richiama l’istituto contratto a tempo determinato, non una o più regolamentazioni specifiche di tale contratto, come invece fa il quarto comma della medesima norma.

29. Nel quarto comma, il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento. Il quinto comma, al contrario, contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale. Si parla di “casi” di “conversione del contratto a tempo determinato” senza indicare normative di riferimento, né aggiungere ulteriori elementi selettivi.

30. La conseguenza è che per sapere se si rientra nell’ambito di applicazione della norma dettata dal quinto comma, bisogna verificare la sussistenza di due sole condizioni: la prima è che il contratto di lavoro deve essere a tempo determinato, la seconda è che si deve essere in presenza di un fenomeno di conversione.

31. Il “contratto per prestazioni di lavoro temporaneo” è previsto e regolato dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, che così lo definisce nell’art. 3, primo comma: “…è il contratto con il quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore: a) a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice; b) a tempo indeterminato”.

32. Quindi, la legge prevede due categorie di contratti per prestazioni di lavoro temporaneo: a tempo determinato e a tempo indeterminato. Il contratto di lavoro temporaneo della prima categoria è espressamente qualificato dal legislatore come una forma di contratto di lavoro a tempo determinato. Rientra quindi nella categoria contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

33. Anche la giurisprudenza europea conferma questa conclusione. La sentenza della CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo, costituita dal fatto che le parti stipulanti l’accordo quadro hanno espressamente previsto che esso “si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale”. Da tale previsione si ricava che, anche per l’accordo quadro, e quindi per la direttiva che lo ha recepito, il contratto a termine che si accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del contratto a tempo determinato, tanto che il legislatore europeo, avendo intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che definisce una eccezione, in mancanza della quale l’accordo avrebbe coperto tale area. Se il legislatore europeo non avesse precisato “ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte da parte di un’agenzia di lavoro interinale”, la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un contratto di fornitura di lavoro interinale. “A contrario” deve ritenersi che, quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera. E’ quanto è accaduto con l’art. 32, quinto comma, della legge 183 del 2010, che ha fatto indistintamente riferimento a contratti a tempo determinato, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale.

34. Fermo che il contratto previsto dall’art. 3, lett. a) della legge 196 del 1997 è un contratto di lavoro a tempo determinato, il problema diviene allora quello di stabilire se, quando ricorrano le ipotesi di illegittimità previste dall’art. 10, i meccanismi sanzionatori previsti dalla legge integrino o meno un fenomeno qualificabile come “conversione”.

35. L’espressione “conversione”, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, viene utilizzata in dottrina e giurisprudenza per descrivere il meccanismo in base al quale la nullità della clausola di apposizione del termine non comporta la nullità dell’intero contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo delineato dall’art. 1419, secondo comma, c.c. con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. L’operatività di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema, in altri è previsto espressamente dalla legge. E’ ciò che accade, nella legge 196/1997, il cui art. 10, prevede varie ipotesi compresa, come si è visto, quella ricorrente nel caso in esame, in cui il contratto di prestazioni di lavoro temporaneo “si considera a tempo indeterminato”.

36. Pertanto, anche con riferimento al contratto di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, in presenza delle ipotesi indicate dall’art. 10 della legge 196 del 1997, si ha un fenomeno di “conversione”.

37.L’ampiezza della formula utilizzata dall’art. 32. quinto comma, della legge 183 del 2010 e la mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, rende irrilevante che la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto. La norma richiede solo che si sia in presenza di uno dei “casi di conversione del contratto a tempo determinato”.

38. Né rileva che il vizio che determina il meccanismo sanzionatorio possa riguardare anche il contratto di fornitura, cioè il contratto commerciale che sta a monte del contratto di lavoro. Anche questo elemento, come si è visto, non esclude che l’esito sia la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato.

39. L’espressione “casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato”, senza ulteriori precisazioni, non esclude, in conclusione, che il fenomeno di conversione possa avvenire nei confronti dell’utilizzatore effettivo della prestazione, né che possa essere l’effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di fornitura.

40. Deve, infine, ricordarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’art. 32 della legge 183 del 2010 si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo della decisione di secondo, o già di primo grado, non si sia formato il giudicato (Cass. 3 gennaio 2011 n. 65; 4 gennaio 2011 n. 80; 2 febbraio 2011 n. 2452 e molte altre successive sempre nel medesimo senso).

41. Il motivo pertanto deve essere accolto, sebbene in parte, perché, contrariamente a quanto assume l’impresa ricorrente, l’indennità prevista dall’art. 32, quinto comma, della legge n. 183 del 2010, non è compatibile con la detrazione delle somme percepite a titolo di “aliunde perceptum” dal lavoratore (cfr. sul punto, in particolare, Cass. 7 settembre 2012 n. 14996). Nel condannare la società al pagamento della indennità, il giudice di rinvio non dovrà pertanto disporre la sottrazione di tali somme.

42.L’accoglimento del motivo concernente l’indennità ex art. 32 comporta, come si è anticipato, l’assorbimento del motivo relativo alla messa in mora. Anche questo profilo, diventa irrilevante una volta ritenuta applicabile l’indennità ex art. 32, che prescinde dalla messa in mora (cfr. ancora, per tutte, Cass. 14996/2012, cit).

43. In conclusione: il primo motivo di ricorso è inammissibile; il secondo, il terzo ed il quarto sono infondati; il quinto rimane assorbito. Il sesto deve essere accolto, nei limiti di quanto specificato, in base al seguente principio di diritto: “L’indennità prevista dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma, dell’art. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione”.

44.L’accoglimento parziale del sesto motivo comporta la cassazione della sentenza in ordine al motivo accolto ed il rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il sesto motivo, rigetta i motivi dal primo al quarto, assorbito il quinto. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese.

SENTENZA CASSAZIONE LEGITTIMITA’ LICENZIAMENTO PER MANCANZA SPECIFICA PROFESSIONALITA’

29/05/2013

Si richiama l’attenzione sulla sottostante sentenza 28 maggio 2013, n. 13239 ,con cui la  Corte di Cassazione ha definito il ricorso avverso un provvedimento di licenziamento per giustificato motivo oggettivo .in reòlazioone alla  sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione  per mancanza   da parte del lavoratore del  diploma   abilitante  e   di una formazione professionale specifica.

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 14 maggio 2010, la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame svolto da T. F. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda tendente ad ottenere la declaratoria di illegittimità, inefficacia del licenziamento intimato dal C. s.r.L di FKT, per violazione delle garanzie previste dall’art. 7 legge 300/70 e del principio di proporzionalità.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– T. F., premesso di aver lavorato alle dipendenze del C. s.r.l. con mansioni di massokinesiterapista a far tempo dall’8/4/1991, esponeva che il datore di lavoro, in data 27.6.2006, le richiedeva la produzione di un attestato per lo svolgimento delle prescritte mansioni, al quale aveva replicato rilevandone la pretestuosità, e a cui faceva seguito lettera di licenziamento in data 7.9.2006 con la quale s’interrompeva il rapporto di lavoro con decorrenza immediata in dipendenza della carenza di requisiti soggettivi indispensabili all’espletamento delle descritte mansioni;

– la lavoratrice deduceva la nullità/inefficacia del recesso, ontologicamente disciplinare, intimato in violazione delle garanzie ex art. 7 L.n.300/70 e la violazione del principio di proporzionalità;

– il primo giudice, nel contraddittorio con il datore di lavoro, respingeva la domanda ravvisando, nella specie, un’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa della sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione sul presupposto che il diploma posseduto dalla lavoratrice non potesse più considerarsi abilitante all’esercizio dell’attività per la quale era stata assunta, posto che il sopravvenuto dm 27.7.2000 postulava per l’esercizio dell’attività di massofiosioterapista il possesso di una formazione professionale specifica, attuata mediante la frequenza di corsi di durata triennale;

– la sentenza veniva gravata dalla lavoratrice.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva:

– infondato il motivo di gravame sul denegato riconoscimento della natura disciplinare del licenziamento, posto che dalla lettura complessiva dell’atto si evincevano le ragioni dovute alla sopravvenuta carenza dei requisiti soggettivi indispensabili all’espletamento delle mansioni per cui era stata assunta;

– infondato il motivo di gravame sulla validità, su tutto il territorio nazionale, del profilo del massoterapista biennale, sulla base del rilievo secondo cui, ricostruito il quadro normativo di riferimento delle professioni sanitarie e del passaggio dal vecchio ordinamento (legge 118/71) al nuovo regime fondato sul previo conseguimento del diploma universitario (legge 502/92 e successivi d.m.), ai fini dell’equipollenza dei titoli preesistenti al diploma universitario prevista dall’art. 4, co. 1, legge n. 502 cit, era assolutamente carente l’allegazione e la dimostrazione circa il possesso di un titolo che abilitasse la T., in base alla normativa pregressa, all’iscrizione ad un albo professionale o all’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo per essere mancante, agli atti, un riferimento specifico al titolo posseduto, onde non poteva accedersi alla prospettata equipollenza caratterizzata dall’automaticità;

– quanto alla seconda ipotesi prevista dal comma 2 del citato art. 4, che demanda ad apposito decreto interministeriale l’individuazione di ulteriori ipotesi di equivalenza, il decreto interministeriale del 27.7.2000 ha incluso, fra i titoli equipollenti al diploma universitario di fisioterapista, il diploma di massofisioterapista purché conseguito all’esito di un corso triennale, espressamente disponendo, per i possessori di detto titolo, la non produzione di alcun effetto sulle mansioni esercitate in ragione del titolo nei rapporti di lavoro dipendente già instaurati alla data di entrata in vigore del decreto;

– il titolo di massofisioterapista conseguito dalla T. all’esito di un corso non triennale non più valido per abilitarla allo svolgimento di detta attività professionale così determinandosi un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione che legittimava la società alla risoluzione del rapporto di lavoro;

– la mancata deduzione e dimostrazione da parte della lavoratrice, di aver frequentato un corso per il conseguimento di un valido titolo ha comportato la definitività dell’impossibilità sopravvenuta; quanto al repechage, la lavoratrice non aveva allegato un suo possibile reimpiego in altre mansioni almeno equivalenti, e la società aveva dimostrato l’impossibilità di utilizzare aliunde la lavoratrice in quanto l’organico del centro era determinato dall’azienda sanitaria presso la quale il centro era in regime di accreditamento provvisorio quale struttura riabilitativa di tipo A, onde era l’ASL, anno per anno, che stabiliva quantità e qualità delle prestazioni erogabili dalle strutture, come le figure professionali che dovevano essere presenti e la percentuale di personale dipendente ed autonomo.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, T. F. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. La parte intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia violazione del principio di immodificabilità dei motivi di licenziamento per aver la Corte di merito esteso il thema decidendum, che afferiva alla sola presunta mancanza dei requisiti soggettivi necessari all’espletamento delle mansioni di massofisioterapista e, in particolare, al possesso del titolo biennale e non triennale, come sostenuto dalla società. Assume che, diversamente dal motivo indicato nella lettera di licenziamento, in sede di giudizio, a suffragio del provvedimento, sono state poste circostanze diverse, quali eventuali provvedimenti della ASL sulla cui scorta il centro avrebbe dovuto operare una riduzione di personale.

6. Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 11 c.c., 1 L. 403/71, art. 6,co. 3 d.lgs. 502/92 come modif. dall’art. 7,co.3 d.lgs. 517/93, art. 9 L. 341/90, d.m. 27.7.2000, artt. 1, 2, 3, per aver la Corte di merito erroneamente interpretato la modifica legislativa, in tema di professioni sanitarie, riferita solo all’acquisizione, da parte dei nuovi diplomando, dei relativi titoli specialistici, senza incidere su posizioni lavorative ultradecennali già acquisite da lavoratori assunti in base al possesso dei titoli richiesti dalla precedente normativa. Assume, in particolare, la mancanza di divieti ex lege all’espletamento della professione in base alla precedente normativa, sulla base della previsione dei titoli biennali ad esaurimento, del principio di irretroattività della legge che non può regolamentare ex novo un rapporto sorto precedentemente con la previsione di una causa di risoluzione fondata sul possesso di requisiti diversi da quelli previgenti (il possesso del diploma biennale anziché triennale). Assume che la legislazione di riforma delle professioni sanitarie non ha riordinato altresì la figura del massofisioterapista e, invocando all’uopo, giurisprudenza amministrativa pronunciatasi in tal senso anche quanto alla conservazione dei relativi corsi di formazione, conclude che il massofisioterapista biennale ha un titolo abilitante, non costituisce categoria ad esaurimento ma di profilo valido su tutto il territorio nazionale.

7. Con il terzo motivo, deducendo ancora violazione di norme di legge (art. 1464 c.c.), la ricorrente si duole che la corte territoriale non avesse considerato che non era stata fornita alcuna prova in ordine ad indicazioni provenienti dalla Regione Campania o dalle aziende sanitarie circa l’obbligo, per i centri convenzionati, di condizionare il mantenimento in servizio del personale al possesso del titolo abilitante (diploma di massofisioterapista conseguito all’esito di un corso triennale) richiesto dalla società intimata e ad eventuali negative conseguenze in punto di rimborsi, onde l’attività professionale ben poteva ancora svolgersi ad esaurimento, salva la possibilità di conseguire, in costanza di rapporto, il titolo triennale.

8. Con l’ultimo motivo, la ricorrente lamenta, infine, violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, ed, al riguardo, osserva che non era stata esaminata, né comunque provata, l’impossibilità di utilizzare la ricorrente in altre mansioni.

9. I motivi non sono meritevoli di accoglimento alla stregua del precedente specifico di questa Corte di legittimità, sentenza n. 8050 del 2012, cui il Collegio intende dare continuità.

10. Il primo motivo è infondato.

11. Al riguardo basta osservare che la censura che con tale motivo si introduce appare del tutto generica, laddove la precisa ragione giustificativa della decisione si rinviene, in coerenza con le motivazioni del recesso esercitato dal datore di lavoro e con i poteri di qualificazione giuridica devoluti al giudice dell’impugnazione, nell’esistenza di una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione di lavoro, derivante dalla mancanza in capo alla lavoratrice, per effetto di disposizioni normative sopravvenute, del titolo professionale necessario per l’esercizio dell’attività lavorativa richiesta dal datore di lavoro e come tale idonea ad incidere sulla funzionalità della relativa organizzazione di lavoro.

12. Nessuna indebita conversione dei motivi del licenziamento (che, intimato per mancanza di un requisito soggettivo, sarebbe stato confermato per ragioni inerenti alla sfera organizzativa dell’impresa) è, pertanto, ravvisabile, avendo, piuttosto, la Corte territoriale valutato il recesso alla luce dei criteri normativi previsti dall’art. 1464 c.c., e, quindi, alla luce di un criterio prognostico circa la possibile ripresa della funzionalità del rapporto senza significativi pregiudizi per l’organizzazione del datore di lavoro.

13. Anche il secondo motivo è infondato.

14. Giova, al riguardo, rammentare come, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, il vizio di violazione di legge deve svolgersi nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del giudice del merito, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, in coerenza con la funzione di garanzia dell’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di legittimità, mentre l’allegazione di una presunta erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, si rivela estranea all’esatta interpretazione della legge e rientra nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso il vizio di motivazione (v., ex multis, Cass. 18375/2010).

15. Ciò precisato, deve osservarsi come il ricorso, dopo aver passato in rassegna le disposizioni normative nel caso pertinenti, non specifica (se non per il profilo dell’irretroattività della legge) sotto quale aspetto la ricognizione della fattispecie astratta, operata dalla Corte di merito, appaia incompatibile con i criteri di interpretazione legale, sì da rendere l’interpretazione offerta irriducibile al contenuto precettivo della norma.

16. Ed, al riguardo, basta osservare come la ricorrente assuma che la lettura della disciplina normativa fatta propria dalla Corte di merito contrasti con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 5225 del 2007, sulla quale, invece, si fonda, condividendone il contenuto, la decisione impugnata.

17. Ha, infatti, rilevato il Consiglio di Stato, escludendo l’illegittimità del DL. 27 luglio 2000, il quale annovera fra i titoli equipollenti al diploma universitario di fisioterapista di cui al D.M. n. 741 del 1992 il diploma di massofisioterapista, solo se conseguito all’esito di un corso triennale, che una corretta interpretazione della L. n. 42 del 1999, art. 4, commi 1 e 2, di cui il decreto citato costituisce attuazione, porta a disattendere un’impostazione secondo cui tutti i titoli preesistenti devono essere riconosciuti come equipollenti ai diplomi universitari di nuova istituzione.

18. Nell’esaminare, infatti, la disciplina prevista dalla citata L. n. 42 del 1999, la quale ha disciplinato in modo innovativo e con riferimento a tutte le professioni sanitarie (già definite come “ausiliarie”) il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo regime, fondato sul previo conseguimento del diploma universitario, ha osservato il Consiglio di Stato che l’equipollenza può operare in via automatica solo se il relativo diploma sia stato conseguito all’esito di un corso già regolamentato a livello nazionale, e cioè solo in presenza di moduli formativi la cui uniformità ed equivalenza fosse già stata riconosciuta nel regime pregresso.

19. Nel caso dei massofisioterapisti la L. n. 403 del 1971, istitutiva di tale professione sanitaria ausiliaria, non dettava norme sul relativo percorso formativo, sicché lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul territorio nazionale, con la conseguenza che i titoli rilasciati all’esito dei corsi in questione non potevano, in realtà, fruire di alcun riconoscimento automatico, con piena equiparazione al titolo di fisioterapista acquisito nel vecchio ordinamento sulla base di percorsi didattici i cui contenuti erano stati precisamente normali.

20. Il D.l. 27 luglio 2000, è stato, quindi, ritenuto esente da profili di illegittimità, “prendendo lo stesso atto di una situazione di base contrassegnata dall’evidente disparità dei vari percorsi formativi, selezionando all’interno di essi quelli ritenuti in grado di fornire all’operatore una formazione di livello adeguato all’esercizio di una attività professionale altrimenti riservata a soggetti che abbiano conseguito il diploma di scuola media superiore ed abbiano positivamente frequentato un corso di laurea triennale”.

21. Nel contesto normativo evidenziato, del tutto irrilevante appare, quindi, l’evocato principio di irretroattività della legge, dal momento che scopo della normativa in esame è stato proprio quello di regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento delle professioni sanitarie, stabilendo criteri e modalità per garantire, in un settore particolarmente sensibile e delicato, l’equivalenza dei nuovi titoli professionali a quelli preesistenti, e, quindi, omogenei livelli professionali, anche attraverso la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione (v. L. n. 42 del 1999, art. 4, comma 2).

22. Infondato è anche il terzo motivo.

23. Premesso che, alla luce del quadro normativo evidenziato, il possesso di un titolo di massofisioterapista conseguito all’esito di un corso biennale (quale quello posseduto dalla ricorrente) non era più valido per abilitare allo svolgimento dell’attività professionale, ha accertato, per il resto, la Corte partenopea che la lavoratrice non aveva dedotto, né tantomeno provato, di aver frequentato, o almeno iniziato a frequentare, un corso per il conseguimento di un valido titolo per l’esercizio della professione di fisioterapista, sicché l’impossibilità della prestazione non si configurava più solo come temporanea, ma era divenuta definitiva.

24. A fronte di tale accertamento, le considerazioni svolte dalla ricorrente improntate sull’assenza di concreti pregiudizi derivati per il datore di lavoro dalla permanenza presso il Centro della dipendente pur sprovvista di idoneo titolo professionale, non evidenziano, comunque, sotto qual profilo non siano, nel caso, ravvisabili i presupposti della fattispecie normativa dell’art. 1464 c.c., tenuto conto del necessario nesso di collegamento che deve sussistere fra il possesso di idoneo titolo abilitativo e lo svolgimento della relativa attività professionale, in relazione ai requisiti professionali richiesti dalla legge per l’erogazione delle prestazioni sanitarie eseguibili nella struttura, e della prognosi negativa che, alla luce delle circostanze del caso concreto, ha ritenuto di dover formulare la Corte di merito circa la possibilità di una proficua ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro.

25. Tanto basta per affermare la legittimità del recesso ex art. 1464 c.c., rispetto al quale, per come ha chiarito questa Suprema Corte, è indispensabile stabilire di volta in volta se vi siano elementi in grado di rendere oggettivamente prevedibile la cessazione dell’impossibilità ed il tempo occorrente, potendo, in tal contesto, le ragioni organizzative dell’impresa giustificare l’interesse alla risoluzione del rapporto di lavoro anche in caso di assenza prevedibilmente di breve durata, come, al contrario, escluderne l’interesse in caso di assenza prevedibilmente prolungata, ma pur sempre entro Ì confini della ragionevolezza (v., ex multis,Cass., 1591/2004).

26. Non accoglibile è, infine, l’ultimo motivo.

27. Ha accertato, al riguardo, la Corte territoriale che la società intimata aveva sofferto di una riduzione di quasi il 50% della capacità operativa annuale, con conseguente ridimensionamento del personale ammesso al rimborso, e che, peraltro, la ricorrente stessa non aveva fornito nessuna, sia pur minima, allegazione circa la possibilità di essere adibita ad altre mansioni.

28. Trattasi di valutazione di merito, motivata in termini sufficienti e non contraddittori e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.

29. In definitiva il ricorso va rigettato.

30. Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, sulla quale consta un unico precedente di legittimità, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; spese compensate.

PUBBLICATO DECRETO TERZO CONTINGENTE SALVAGUARDATI PENSIONAMENTO

29/05/2013

Sulla Gazzetta Ufficiale 28 maggio 2013, n. 123.  risulta pubblicato il DECRETO MINISTERIALE 22 aprile 2013 ,relativo alle modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 231 e 233, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. per l’e stensionedeòlla  platea dei  salvaguardati.ai fini delpensionamento sagrevolato ad un terzo contingente ,costituito da 1.130   lavoratori complessivi ,ma   suddivisi in quattro  diverse  categorie.

Art. 1

1. Il presente decreto disciplina le modalità di attuazione dell’articolo 1, commi 231 e 233, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, individuando alla tabella di cui al successivo articolo 9 del presente decreto, il limite massimo numerico e la ripartizione dei soggetti interessati alla concessione dei benefici di cui al presente decreto, tra le singole tipologie di soggetti interessati, nel limite delle risorse indicate al comma 234 del medesimo articolo 1.

Art. 2

1. Ai lavoratori di cui alle categorie indicate in premessa continuano ad applicarsi le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ancorché maturino il requisito per il pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011, che versano nelle seguenti condizioni:

a) lettera a) del citato art. 1 c. 231

lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, e che abbiano perfezionato i requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità di cui all’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero durante il periodo di godimento dell’indennità di mobilità in deroga e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014;

b) lettera b) del citato art. 1 c. 231

lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ancorché abbiano svolto, successivamente alla medesima data del 4 dicembre 2011, qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dopo l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria, a condizione che:

1) abbiano conseguito successivamente alla data del 4 dicembre 2011 un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500 annui;

2) perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;

c) lettera c) del citato art. 1 c. 231

ai lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412 del codice di procedura civile ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, ancorché abbiano svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, a condizione che:

1) abbiano conseguito successivamente alla data del 30 giugno 2012 un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;

2) perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;

d) lettera d) del citato art. 1 c. 231

ai lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, devono attendere il termine della fruizione della stessa per poter effettuare il versamento volontario, a condizione che perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con, modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.

Art. 3

1. Ai sensi del comma 233 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nell’esame delle istanze presentate dai soggetti interessati di cui al precedente articolo 2, l’Inps tiene conto dei seguenti criteri di precedenza:

a) per i lavoratori collocati in mobilità ordinaria o in deroga: data di cessazione del rapporto di lavoro;

b) per i lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione: data di cessazione del rapporto di lavoro precedente l’autorizzazione ai versamenti volontari;

c) per i lavoratori di cui alla lettera c) dell’articolo 2 del presente decreto: data di cessazione del rapporto di lavoro.

2. I lavoratori di cui alla lettera c) dell’articolo 2 del presente decreto conseguono il beneficio a condizione che la data di cessazione del rapporto di lavoro risulti da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie alle Direzioni Territoriali del lavoro, ovvero agli altri soggetti equipollenti individuati sulla base di disposizioni normative o regolamentari. La documentazione da produrre per comprovare quanto precede è indicata al successivo articolo 5.

3. In attuazione dell’articolo 1, comma 232, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, l’INPS provvede al monitoraggio delle domande di pensionamento dei lavoratori di cui all’articolo 2 del presente decreto prevedendo che, nel caso di raggiungimento del limite numerico connesso ai limiti finanziari stabiliti dal comma 234 del citato articolo 1 della legge n. 228 del 2012, non siano prese in considerazione ulteriori domande.

Art. 4

1. I soggetti di cui alla lettera a) dell’articolo 2 del presente decreto, che intendono usufruire del beneficio presentano istanza, corredata dell’accordo a seguito del quale sono stati posti in mobilità, alla Direzione territoriale del lavoro (DTL) competente per territorio, entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale, indicando altresì la data di cessazione del rapporto di lavoro.

2. Qualora il soggetto interessato non sia in grado di produrre l’accordo a seguito del quale è stato posto in mobilità, la DTL provvederà ad acquisire lo stesso presso il datore di lavoro che ha proceduto al licenziamento o presso la competente Pubblica Amministrazione.

3. Allo scopo di attribuire una data certa all’accordo di messa in mobilità, la Direzione territoriale competente si avvale, tra gli altri, dei documenti relativi alla procedura di mobilità, ivi inclusi la comunicazione di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonché il versamento di cui al comma 3 del medesimo articolo.

4. Entro 45 giorni dall’acquisizione dell’istanza del soggetto interessato, completa di tutta la documentazione richiesta, la DTL trasmette l’istanza all’INPS.

Art. 5

1. I soggetti di cui alla lettera c) dell’articolo 2 del presente decreto, presentano istanza di accesso ai benefici di cui all’articolo 1, comma 231, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 corredata dall’accordo che ha dato luogo alla cessazione del rapporto di lavoro secondo le seguenti modalità:

a) nel caso in cui si tratti di soggetti cessati in ragione di accordi ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, l’istanza è presentata alla Direzione Territoriale del lavoro innanzi alla quale detti accordi sono stati sottoscritti;

b) in tutti gli altri casi, l’istanza è presentata alla Direzione Territoriale del Lavoro competente in base alla residenza del lavoratore cessato.

2. Le istanze di cui al presente articolo devono essere presentate entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale.

Art. 6

1. Sono competenti all’esame delle istanze di cui agli articoli che precedono le Commissioni di cui all’articolo 4, comma 6 del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle finanze del 1° giugno 2012 e di cui all’articolo 4, comma 3 del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle finanze, sottoscritto in data 8 ottobre 2012.

2. La partecipazione alle Commissioni di cui al comma 1 non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi di spese. Dal funzionamento delle medesime Commissioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 7

1. Le decisioni di accoglimento emesse dalle Commissioni di cui all’articolo 6, comma 1, del presente decreto vengono comunicate con tempestività all’INPS, anche con modalità telematica.

2. Avverso i provvedimenti delle Commissioni di cui all’articolo 6, comma 1, del presente decreto l’interessato può presentare riesame, entro 30 giorni dalla data di ricevimento dello stesso, innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro presso cui è stata presentata l’istanza.

Art. 8

1. I soggetti di cui alle lettere b) e d) dell’articolo 2 del presente decreto, presentano all’Inps istanza di accesso ai benefici di cui all’articolo 1, comma 231, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto sulla Gazzetta Ufficiale.

Art. 9

1. In conformità agli articoli 1 e 2 del presente decreto, il numero dei lavoratori aventi titolo all’ottenimento del beneficio di cui all’articolo 1, comma 231, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e successive modificazioni, è determinato in 10.130 unità, ripartite come segue:

Tipologia di soggetti

Contingente Numerico

Mobilità ordinaria od in deroga, lettera a) del comma 231:

lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, e che abbiano perfezionato i requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità di cui all’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero durante il periodo di godimento dell’indennità di mobilità in deroga e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014.

2560

Prosecutori volontari, lettera b) del comma 231;

lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ancorché abbiano svolto, successivamente alla medesima data del 4 dicembre 2011, qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dopo l’autorizzazione alla prosecuzione volontaria, a condizione che:

1) abbiano conseguito successivamente alla data del 4 dicembre 2011 un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;

2) perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

1590

Lavoratori cessati, lettera c) del comma 231:

lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412 del codice di procedura civile ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, ancorché abbiano svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, a condizione che:

1) abbiano conseguito successivamente alla data del 30 giugno 2012 un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;

2) perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.

5.130

Prosecutori volontari in attesa di concludere la mobilità, lettera d) del comma 231:

lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, devono attendere il termine della fruizione della stessa per poter effettuare il versamento volontario, a condizione che perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 201 del 2011, convertito con, modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.

850

TOTALE

10.130

Art. 10

Il presente decreto è trasmesso agli Organi di Controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

ESENZIONE IRAP PROFESSIONISTA SENZA AUTONOMA ORGANIZZAZIONE E PERSONALE DIPENDENTE

29/05/2013

Quanto   riportato  nel titolo, risulta affermato   nella sentenza  della Commissione Regionale Tributaria di Roma 22 aprile 2013, n. 238 nei confronti di un geometra-

Di seguito si riporta il testo della decisione richiamata

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Fatto

(…) ricorre contro cartella dì pagamento IRAP 2005 emessa a seguito di liquidazione del modello UNICO sostenendo di non aver versato l’IRAP ritenendo di svolgere l’attività professionale di geometra senza alcuna autonoma organizzazione e senza valersi di dipendenti e quindi di non essere soggetto passivo dell’imposta, secondo i dettami della Corte Costituzionale.

La Commissione tributaria provinciale di Viterbo ha accolto il ricorso ritenendo che nella specie non sussistano elementi di organizzazione tali da assoggettare ad IRAP l’attività svolta dal ricorrente.

Propone appello la Direzione provinciale di Viterbo sostenendo che nella specie non può riscontrarsi l’assoluta mancanza di organizzazione, dovendosi ritenere l’organizzazione stessa condizione intrinseca dell’esercizio di attività libero professionale, concludendo quindi per la riforma della sentenza impugnata.

Si costituisce nel giudizio di appello il (…) sostenendo l’esiguità degli importi esposti tali da far ritenere la mancanza di organizzazione nell’attività svolta. Chiede quindi la conferma della sentenza di primo grado impugnata e l’annullamento della cartella.

Diritto

La materia del contendere consiste nell’interpretazione e concreta applicazione di alcune sentenze della Corte Costituzionale, le quali nel ribadire la legittimità dell’IRAP hanno però ritenuto che essa non si applicasse qualora l’attività fosse svolta in assenza di organizzazione imprenditoriale. In particolare, la sentenza 156/01, ha sancito l’inammissibilità delle varie questioni di legittimità concernenti l’intero d. Igs. 446/97, ed ha dichiarato specificamente infondate le questioni di legittimità degli arti 2, 3,1° co, 4, 8,11, 36 e 76 dello stesso decreto che concernono direttamente o indirettamente il lavoro autonomo artistico o professionale. Nella motivazione della detta sentenza la Corte Costituzionale si sofferma a lungo proprio sulla questione della rispondenza ai principi costituzionali dell’assoggettamento ad IRAP del lavoro autonomo, spiegando che questo è pienamente conforme ai principi di eguaglianza e capacità contributiva rispetto all’imposizione che colpisce la base imponibile costituita dall’attività imprenditoriale, essendo identica in entrambe i casi l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta, non apparendo inoltre la suddetta uguaglianza lesiva della garanzia costituzionale prestata al lavoro. Subito dopo però osserva che l’elemento organizzativo, necessario ai fini dell’imposizione IRAP, è connaturato alla nozione d’impresa, mentre è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in essenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui: in tal caso, in mancanza di specifiche disposizioni normative, l’accertamento costituisce una questione di mero fatto, e quindi una volta appurata l’assenza di elementi organizzativi, l’imposta non va applicata.

L’ufficio interpreta tale condizione di esenzione come assenza totale di elementi di organizzazione, condizione questa impossibile nell’ipotesi di lavoro autonomo, in cui l’organizzazione sarebbe in re ipsa, rappresentata dalla mera attività del professionista.

Una tale interpretazione non può essere condivisa in quanto la Corte Costituzionale aveva individuato i parametri minimi di applicazione dell’imposta proprio al fine di poter escludere gli elementi di incostituzionalità avanzati in sede di remissione.

Infatti, la specie che aveva dato luogo alla pronuncia della Corte Costituzionale consisteva nella sottoposizione ad IRAP dei redditi derivanti da attività libero professionale e la Corte espressamente ha sancito che “è evidente che nel caso di un’attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante il presupposto dell’IRAP”. Accedere quindi all’interpretazione dell’Ufficio sarebbe come considerare la sentenza della Corte Costituzionale come inutiliter data.

D’altra parte deve considerarsi la natura reale dell’IRAP, che ha come presupposto una pluralità di elementi ulteriori rispetto alla mera attività lavorativa. Accogliendo la tesi dell’organizzazione intrinseca avanzata dall’appellante si verrebbe a tassare non il valore della produzione netta, come previsto dalla norma istitutiva dell’IRAP, ma si attuerebbe una mera doppia imposizione del reddito, si tratterebbe in altre parole di un surrettizio aumento dell’aliquota IRPEF gravante sul reddito prodotto, della cui legittimità costituzionale sarebbe lecito dubitare.

In base all’affermazione della Corte Costituzionale l’esercizio delle professioni cosiddette protette, cioè quelle per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione all’ordine professionale, non integra mai il presupposto per l’applicazione dell’IRAP. In ambito fiscale l’attività di lavoro autonomo e quella d’impresa sono disciplinate separatamente perché caratterizzate da una differente natura: l’attività d’impresa si basa, infatti, sull’organizzazione che è data da un complesso di beni strumentali funzionalmente collegati tra loro al fine dell’esercizio dell’impresa, tanto da assumere le caratteristiche di un quid pluris rispetto all’attività di lavoro personale dello stesso imprenditore; detta organizzazione è di regola assente o riguarda l’esercizio delle professioni intellettuali, caratterizzate come sono dal requisito dell’intuitu personae. Ne consegue che nell’esercizio delle professioni intellettuali è, in via di principio, assolutamente non configurabile l’esistenza di un’organizzazione di beni che possa funzionare separatamente e indipendentemente dall’intervento del professionista, dovendo essere prevalente la sua personale attività professionale rispetto all’eventuale utilizzazione di qualsivoglia organizzazione di beni strumentali che non potrà mai essere sostitutiva dell’attività medesima.

Ne deriva così che ai fini IRAP rileva la presenza di un’organizzazione d’impresa e questa non è data dal coordinamento e dall’organizzazione più o meno complessa di cui è capace il professionista per migliorare o rendere più agevole lo svolgimento del proprio lavoro, ma da quella organizzazione, autonoma rispetto al lavoro professionale, capace di spersonalizzare l’attività svolta e di fornire come struttura a se stante quella prestazione professionale che connota l’attività professionale tipica del professionista.

Anche a parere della stessa agenzia delle entrate (risoluzione n. 118 del 28 maggio 2003) la natura personale dell’attività professionale non viene meno, anche nel caso di organizzazioni più complesse come quella della società tra professionisti. Le attività professionali, ad esempio geometra, ingegnere, avvocato, notaio, agente di commercio non possono svolgersi in sua assenza e, per quanto possa essere minima l’organizzazione professionale della quale egli si serva, la sua presenza nell’esercizio dell’attività sarà sempre e comunque indispensabile e, all’opposto, per quanto ampia e sofisticata sia la predetta organizzazione, sarà sempre e comunque necessario far riferimento alla presenza personale del professionista abilitato perché l’attività di questi possa effettivamente svolgersi.

Né risulta meritevole di condivisione che possa considerarsi soggetta ad IRAP l’attività professionale quando, in ragione della sua particolare specificità e complessità non può in alcun modo prescindere, neppure astrattamente, da una seppur minima forma di autonoma organizzazione, la quale appunto fornisce elemento fondamentale per differenziare tale attività di lavoro da quella svolta in maniera dipendente.

Nella specie inoltre non si evidenziano costi per beni ammortizzabili o per l’acquisizione di servizi di terzi che potrebbero far pensare ad un’organizzazione imprenditoriale, circostanze queste che fanno ritenere ricorrere le condizioni per l’esenzione dall’IRAP. Va quindi annullata la cartella relativa ai recuperi dell’IRAP non versata in sede di autoliquidazione. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Respinge l’appello dell’Ufficio. Spese compensate.

NOTIFICA NON VALIDA PER AVVISO POSTALE MANCANTE NUMERO CIVICO

29/05/2013

Nei termini di cui al titolo risulta  l’Ordinanza  della Cassazione n.13278 del 28 maggio 2013 sottoriportata

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

Nel ricorso iscritto è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
1 – È chiesta la cassazione della sentenza n. 178.02.2010, pronunziata dalla CTR di Palermo – sezione staccata di Messina n. 02, il 15.06.2010, depositata l’11 agosto 2010.
Con tale decisione la CTR ha respinto l’appello del contribuente e confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato l’originario ricorso del contribuente contro la cartella.
2 – Il ricorso, che attiene ad impugnazione di cartella di pagamento, emessa sulla base di provvedimento di irrogazione di sanzioni, censura l’impugnata decisione per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della Legge n. 890/1982 e 6 della Legge n. 212/2000.
3 – L’intimata Agenzia delle Entrate, giusto controricorso, ha chiesto il rigetto della impugnazione.
3 bis – Con istanza 12.11.2012 il ricorrente ha chiesto la sollecita trattazione del ricorso, evidenziando e documentando l’avviso della procedura esecutiva in proprio danno.
4 – La questione, posta dal ricorso, attiene alla regolarità o meno della notifica dell’atto previo, sostenendosi che avrebbero errato i giudici di merito nel presupporne la legittimità, dal momento che, nel caso, non risultavano essere stati osservati tutti gli adempimenti richiesti.
I giudici di appello, in effetti, dopo avere constatato che il contribuente era residente in (…) e che l’atto risultava indirizzata al “signor R.N. via (…)”, ha ritenuto legittima la notifica, avendo verificato che l’agente postale, alla cui attività andava riconosciuta efficacia probatoria fino a querela di falso, aveva curato i prescritti adempimenti, dando atto di avere “immesso avviso cassetta ingresso dello stabile in indirizzo”.
Lamenta in questa sede il ricorrente che l’atto non risultava essergli pervenuto e che, d’altronde, le carenze di notifica erano connesse sia all’originario errore omissivo dell’Ufficio, che non aveva compiutamente indicato l’indirizzo, omettendo il numero civico, sia pure a vizi del procedimento notificatorio, non risultando annotato dall’agente postale quale era il numero civico dello stabile nel quale si era, concretamente, introdotto.
4 bis – Il ricorso sembra fondato, alla stregua dei principi generali enunciati dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 03/2010 e n. 258/2012, nonché, per quanto di rilievo in questa sede, dalla Corte di Cassazione, fra l’altro, con le sentenze n. 1224/1999 e n. 28856/2005; queste ultime, in particolare, hanno affermato che nel caso di notifica a mezzo posta e di irreperibilità relativa, le modalità di notifica devono essere rigorosamente osservate e menzionate nell’avviso di ricevimento, deducendone che là dove, come nel caso, dalla sola annotazione dell’agente postale, riportata nell’avviso, non possa ricavarsi l’avvenuto puntuale espletamento di tutte le prescritte formalità, e segnatamente il luogo di immissione dell’avviso, la notifica non può ritenersi correttamente effettuata.
5 – Si ritiene, dunque, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis cpc, con pronuncia di accoglimento per manifesta fondatezza.
Il Consigliere relatore.

La Corte,
vista la relazione, il ricorso e la memoria 02.04.2013, nonché il controricorso e gli altri atti di causa;
considerato che alla stregua dei principi affermati nelle richiamate e condivise pronunce, il ricorso va accolto, per manifesta fondatezza, e, per l’effetto, annullata l’impugnata sentenza;
considerato, altresì, che il giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR della Sicilia, procederà al riesame e quindi, adeguandosi ai richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del giudizio, offrendo congrua motivazione;
visti gli artt. 375 e 380 bis cpc;

PQM

accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della CTR della Sicilia.

INIZIATIVA COORDINAMENTO BIBLIOTECARI SCOLASTICI PER ABROGAZIONE NORMA PASSAGGIO ATA DOCENTI INIDONEI

29/05/2013

Si riporta la lettera che il citato Coordinamento di recente ha spedito alla nuova Ministra dell’Istruzione in merito alla questione di cui al titolo ,che da molti mesi suscita perplessita’ e preoccupazione  nel mondo della scuola.

Egregia Ministra, abbiamo apprezzato le Sue dichiarazioni riguardo alla Scuola, perciò confidiamo che vorrà ascoltare le nostre istanze.

Il Conbs – Coordinamento nazionale bibliotecari scolastici- dal 2003 collega e rappresenta, su tutto il territorio nazionale, i docenti inidonei all’insegnamento per gravi motivi di salute e utilizzati prevalentemente nelle biblioteche scolastiche. Essi sono stati più volte presi di mira dai tagli governativi e sono oggetto, dal luglio 2012 dei rigori della /spending review/ che li vuole far transitare nei ruoli amministrativi e tecnici, con perdita dello status di insegnanti, azzeramento delle competenze pregresse e necessità, per docenti anziani, di crearsi una professionalità /ex novo/.

Il Suo predecessore ha già firmato il decreto attuativo, poi girato alla ratifica dei Ministri dell’Economia e della Funzione pubblica.

C’è da rimanere confusi circa l’iter, ibrido fra due legislature, che il decreto dovrebbe seguire a causa dell’avvicendamento di Governo, tuttavia Le chiediamo di adoperarsi affinché venga almeno fermato.

Dal decreto dipendono la salute e la vita di oltre 3000 persone (per non parlare degli altrettanti Ata precari conseguentemente “espulsi”), perciò ci auguriamo che vengano fatti i passi necessari per cancellare del tutto una norma ingiusta e inumana anche attraverso il necessario confronto sindacale, finora eluso.

Di seguito alleghiamo una scheda illustrativa.

Siamo disponibili ad ogni approfondimento, anche di persona.

I nostri rispetti e auguri di buon lavoro

CHI SONO E COSA FANNO I DOCENTI INIDONEI ALL’INSEGNAMENTO PER MOTIVI DI SALUTE

Secondo i dati aggiornati all’11 marzo 2013 i docenti fuori ruolo per motivi di salute e utilizzati in altri compiti risultano essere 3084, a cui bisogna aggiungere un certo numero (500?) di inidonei temporanei.

Secondo il DL 95 di Luglio 2012 (Spending review), convertito in Legge n. 135/2012, essi devono forzosamente passare nei ruoli di Assistente Amministrativo (segreterie delle scuole) o Assistente tecnico.

CHE COS’E’ /L’UTILIZZAZIONE IN ALTRI COMPITI

L’utilizzazione in altri compiti è stata istituita con i decreti delegati del 1974 (Art. 113) e confermata dal Testo Unico (D.L.vo 297/1994 — Art. 514) e da tutti i successivi contratti nazionali, ivi compreso il CCNI 2008 , specifico per i docenti inidonei all’insegnamento.

Essa può essere temporanea o permanente e viene attribuita dopo un referto di inidoneità all’insegnamento per gravi motivi di salute, emesso in seguito a visita collegiale presso apposite Commissioni (prima
ASL poi Commissioni mediche di verifica del MEF).

Il docente utilizzato in altri compiti osserva un orario di lavoro di 36 ore settimanali e usufruisce di 36 giorni di ferie come ogni impiegato; questo significa che, nonostante la malattia, accetta un orario di
lavoro maggiorato rispetto a quello che svolgeva prima (18- 24 o 25 ore frontali).

Inoltre è da notare che ogni docente utilizzato, al momento della dichiarazione di inidoneità all’insegnamento, secondo la normativa antecedente il 2011, avrebbe potuto legittimamente optare per il pensionamento anticipato.

Le utilizzazioni vengono disposte

– in prevalenza nelle biblioteche scolastiche

– in numero di poco inferiore negli uffici dell’amministrazione centrale e periferica (Uffici Scolastici Regionali, Uff. Scol. Territoriali/ex provveditorati, Ministero) dove i docenti svolgono compiti propri dei
dipendenti ministeriali

– in minor misura nei progetti dell’offerta formativa delle scuole in supporto alla didattica.

Negli Uffici dell’Amministrazione, gli inidonei spesso ricoprono il 50% del personale in servizio, soprattutto nei piccoli provveditorati e si occupano di:

  • Trasferimenti, utilizzazioni e assegnazioni di sede del personale di ruolo
  • Convocazioni per le nomine annuali
  • Pensionamenti

(lavoro tutto rintracciabile e dimostrabile tramite il SIDI — Sistema informatico d’informazione)

Chi è a scuola su progetto si occupa di tutte le incombenze relative alla didattica

  • alternanza scuola-lavoro
  • rapporti col territorio
  • formazione adulti
  • attività sportive e artistiche
  • cura dei laboratori scientifici e linguistici
  • cura degli strumenti informatici (anche sito della scuola)
  • didattica on line

(Attività previste per legge, indispensabili per una scuola al passo coi tempi, la cui realizzazione risulterebbe addirittura impossibile senza l’apporto dei d. inidonei).

Il docente bibliotecario si occupa

– della acquisizione, organizzazione, conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio documentale (negli istituti storici anche dei libri antichi, preservandoli da smarrimento e furto)

– di spazi e attrezzature in rapporto alle esigenze didattiche

– di incontri, dibattiti, iniziative culturali

Compiti specifici:

  • Catalogazione del materiale documentario
  • Gestione del prestito
  • Informazione e orientamento agli utenti
  • Supporto alle ricerche bibliografiche e documentarie
  • Organizzazione e gestione del servizio di reference
  • Supporto all’utilizzo di attrezzature infotelematiche
  • Educazione alla lettura
  • Educazione alla ricerca
  • Sportello multiculturale

PERCHÉ I DOCENTI UTILIZZATI IN ALTRI COMPITI NON VOGLIONO PASSARE NEL RUOLO ATA*

– Molte delle malattie (spesso contratte per cause di servizio riconosciute o presunte) di cui sono portatori non consentono un lavoro d’ufficio pressante e rigoroso.

– La dequalificazione derivante dal passaggio a un ruolo diverso e inferiore mortifica chi ha conseguito una nuova professionalità anche con corsi di aggiornamento istituiti dallo stesso Ministero dell’Istruzione.

– La progressione economica subirà un brusco arresto e gli stipendi –sempre uguali nel tempo- subiranno una progressiva erosione.

– Tale passaggio priverà la scuola di funzioni qualificanti e moderne (_le biblioteche saranno inesorabilmente chiuse_).

– Al contrario si rivelerà controproducente per l’Amministrazione in quanto detti docenti, sottoposti a stress lavorativo e probabile /mobbing/, saranno costretti ad assentarsi spesso, con conseguenti disservizi per gli uffici e l’utenza.

COSA CHIEDONO I DOCENTI UTILIZZATI IN ALTRI COMPITI

A) Che sia concessa la *dispensa* (cioè il pensionamento con i contributi maturati) su richiesta degli interessati, senza ulteriori visite collegiali.

B) Che sia consentita, attraverso opportune convenzioni –che il MIUR non ha mai attivato- la *mobilità volontaria *verso altri settori della P.A. per chi ne abbia attitudine e con l’inquadramento corrispondente ai propri titoli professionali.

C) Che, sfoltito il numero dei docenti inidonei con le precedenti operazioni, sia permessa *la permanenza* della fisiologica quota residua *nei posti attualmente occupati e con lo stesso stato giuridico *(in attesa di tempi migliori che consentano la riattivazione dei progetti culturali che hanno visto protagonisti i docenti utilizzati in altri compiti).

RISPOSTA MISE QUESITO RICONOSCIMENTO POSSESSO REQUISITI PROFESSIONALI PER SVOLGIMENTO ATTIVITA’ AUTONOMA

28/05/2013

Si sottopone all’asttenzione la sottostante  Risoluzione 08 maggio 2013, n. 76177 con cui il MISE ,in riferimento al Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i. – Articolo 71, comma 6, lettera b)  -ha fornito risposta  al quesito in materia di requisiti professionali per il commercio al dettaglio di prodotti alimentari e per la somministrazione di alimenti e bevande -,co coseguente ricvonoscimento del possesso di detti requisiti nei confronti  di  persona   impiegata con le mansioni di responsabile di reparto imbottigliamento  presso cantina che applica il  ccnl   alimentari-industria.

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Si fa riferimento alla mail con la quale codesto Comune chiede di conoscere se l’aver prestato la propria opera in qualità di responsabile di reparto imbottigliamento di una cantina, inquadrato al 3° livello professionale da più di due anni possa considerarsi requisito valido ai fini dell’acquisizione della qualificazione professionale per l’avvio di attività di commercio al dettaglio relative al settore merceologico alimentare e per la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi dell’articolo 71, comma 6, lettera b), del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive integrazioni e modificazioni ad opera del decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147.

Precisa, altresì, per le vie brevi che il ccnl di inquadramento è quello del settore “alimentari-industria” e che l’attività di vendita della cantina in discorso è rivolta prevalentemente nei confronti di ditte e grossisti.

Al riguardo si  comunica  quanto segue.

Il comma 6, lettera b), dell’articolo 71 del citato decreto legislativo n. 59 del 2010, riconosce il possesso del requisito a chi ha ” … per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, esercitato in proprio attività d’impresa nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera, presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione ali ‘Istituto nazionale per la previdenza sociale “.

In particolare, la qualifica del lavoratore dipendente deve essere riconosciuta dal contratto collettivo nazionale di riferimento, con particolare riguardo alle declaratorie dei livelli professionali nei quali il personale è inquadrato.

I soggetti inquadrati in quei livelli professionali, la cui rispettiva declaratoria richieda almeno il possesso di conoscenze specifiche e tecniche e di conseguenza capacità tecnico-pratiche nello svolgimento di compiti operativi ed esecutivi, si possono ritenere dipendenti qualificati.

Nel caso in discorso il soggetto è impiegato con la qualifica di “Impiegato tecnico” 3° livello professionale come responsabile reparto imbottigliamento del ccnl   alimentari-industria.

Sulla base delle informazioni riscontrate sul CCNL di riferimento, appartengono al Terzo livello tra gli altri quei “lavoratori altamente specializzati che, in condizioni di autonomia operativa, svolgono attività per l’esecuzione delle quali occorrono conoscenze ed esperienze tecnico-professionali inerenti la tecnologia del processo produttivo e/o l’interpretazione di schemi costruttivi e funzionali, nonché lavoratori che, in possesso dei requisiti di cui sopra, conducono e controllano impianti di produzione particolarmente complessi”.

Stante quanto sopra, ad avviso della scrivente, il soggetto richiedente, qualora abbia esercitato per almeno due anni negli ultimi cinque e sia in regola con le contribuzioni previdenziali può ritenersi in possesso della qualificazione professionale in discorso.

CHIARIMENTI MINISTERO LAVORO VISITE PERIODICHE SICUREZZA E CRITERI ABILITAZIONE SOGGETTI COMPETENTI .

28/05/2013

In ordine agli argomenti  specificati  nel   titolo  si richiama l’attenzione sulla sottostante circolare del MLPS 23 maggio 2013, n. 18 ,che   riportandosi  al D.M. 11 aprile 2011 concernente la “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo”  , fornisce  alcuni  chiarimenti al riguardo.

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seguito di numerosi quesiti pervenuti allo scrivente in merito all’applicazione del D.M. 11.04.2011, tenuto conto delle Circolari n. 21/2011, n. 11/2012, n. 22/2012, n. 23/2012 e n. 9/2013 di questo Ministero, su conforme parere della Commissione di cui all’Allegato III dello stesso decreto, si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti applicativi.

1. CONTENUTI MINIMI DELL’INDAGINE SUPPLEMENTARE (D.M. 11.04.2011, ALLEGATO II, PUNTO 2, LETT. c))

L’indagine supplementare consiste nell’attività finalizzata ad individuare eventuali vizi, difetti o anomalie, prodottesi nell’utilizzo delle attrezzature di lavoro, messe in esercizio da oltre 20 anni, nonché a stabilire la vita residua in cui la macchina potrà ancora operare in condizioni di sicurezza con le eventuali relative nuove portate nominali.

Vengono sottoposte a verifica supplementare tutti gli apparecchi di sollevamento di tipo mobile o trasferibile oltre ai ponti mobili sviluppabili su carro ad azionamento motorizzato che siano stati messi in servizio in data antecedente a 20 anni.

Tali ispezioni sono disposte dagli utilizzatori o dai proprietari delle gru o dei ponti mobili sviluppabili.

Le modalità di ispezione dovranno includere l’esame visivo, le prove non distruttive, le prove funzionali e le prove di funzionamento. Dovrà inoltre essere effettuata una accurata indagine tendente a stabilire la tipologia di utilizzo e il regime di carico al quale la macchina è stata mediamente sottoposta. Per il completamento della ricostruzione della vita pregressa della macchina, dovranno essere esaminati i registri di manutenzione, i registri di funzionamento e i verbali delle precedenti ispezioni. Più in particolare si evidenzia:

a) Esame visivo: L’esame visivo dovrà essere effettuato su ogni parte dell’apparecchio di sollevamento al fine di individuare ogni anomalia o scostamento dalle normali condizioni (l’esame visivo può essere coadiuvato da misurazioni, può rendersi necessario lo smontaggio della macchina o di parti di essa).

b) Prove non distruttive: A seconda dei risultati dell’esame visivo, si possono rendere necessari dei controlli non distruttivi mediante liquidi penetranti, magnetoscopia, o altri metodi, per accertare l’eventuale presenza di discontinuità nei componenti strutturali.

c) Analisi dei componenti strutturali e funzionali: Dovranno essere controllati i componenti della macchine con caratteristiche strutturali quali: ralla di rotazione, riduttori, circuiti idraulici di azionamento, ecc..

d) Prove funzionali: Dovranno essere controllate le funzioni dei comandi, degli interruttori, degli indicatori e dei limitatori allo scopo di assicurarsi del loro corretto funzionamento per una sicura operatività.

e) Prove di funzionamento: Dovrà essere eseguita una prova a vuoto per tutti i movimenti dell’apparecchio di sollevamento senza l’utilizzo di carichi al fine di individuare eventuali anomalie. La prova di carico dovrà essere effettuata attuando i movimenti base con l’utilizzo del carico nominale.

f) Esito dell’ispezione: Dovranno essere oggetto di registrazione i difetti e le anomalie rilevate, gli interventi da eseguire e le eventuali limitazioni prima del successivo riutilizzo; dall’analisi della vita pregressa e dal calcolo dei cicli effettuati, verrà stabilito il numero di cicli residui tradotto in periodo di lavoro sicuro della macchina nelle normali condizioni di utilizzo.

2. VERIFICHE PERIODICHE SULLE ATTREZZATURE IN USO PRESSO ATTIVITÀ DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 25 NOVEMBRE 1996, n. 624

Il regime delle verifiche periodiche di cui all’articolo 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. non trova applicazione per le attrezzature utilizzate nelle attività di cui al D.Lgs. n. 624/1996, per le quali continua a valere quanto stabilito dallo stesso decreto n. 624/1996.

3. CARRELLI SEMOVENTI A BRACCIO TELESCOPICO

Con riferimento ai carrelli semoventi a braccio telescopico dotati di accessori/attrezzature intercambiabili per:

– sollevamento carichi liberi di oscillare (ganci, bracci gru e jib, con e senza argano);

– sollevamento persone con cestello/piattaforma;

tenuto anche conto di quanto indicato nel decreto dirigenziale del 29/11/2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’articolo 3, comma 3, del D.M. 11.04.11, il numero di matricola è assegnato alla macchina base.

Per i carrelli semoventi a braccio telescopico già rientranti nel previgente regime di verifica, perché attrezzati con accessori o attrezzature intercambiabili che gli conferivano la funzione di sollevamento cose (immatricolati come autogru) o di sollevamento persone (immatricolati come ponti mobili sviluppabili su carro), il datore di lavoro, al fine di accedere alle specifiche tariffe previste per i carrelli semoventi a braccio telescopico dotati di più accessori/attrezzature intercambiabili, dovrà comunicare all’INAIL la messa in servizio del carrello a braccio telescopico, riportando nel relativo modello l’indicazione del o dei numeri di matricola precedentemente assegnati all’attrezzatura. Le matricole già assegnate verranno riassorbite dalla matricola associata al carrello semovente, che diverrà l’unica identificativa dell’attrezzatura con tutte le funzioni aggiuntive.

Nel caso in cui dette attrezzature siano già state sottoposte a verifiche (da parte di INAIL o ASL/ARPA), rientrano nel regime delle verifiche periodiche successive, per cui non sarà necessario che il datore di lavoro richieda la prima verifica periodica ad INAIL.

4. PIATTAFORME DI LAVORO AUTOSOLLEVANTI SU COLONNE (PLAC)

A seguito della comunicazione di messa in servizio, verrà assegnata alla PLAC (intesa come l’attrezzatura costituita dalla piattaforma di lavoro – piattaforma principale ed eventuali prolungamenti o estensioni della stessa -, da una o più colonne e da un sistema di comando) una sola matricola a prescindere dal numero di configurazioni previste nel manuale d’uso.

Le verifiche periodiche saranno effettuate nella configurazione posta in essere al momento della verifica.

5. SCALE PER TRASLOCHI

Con riferimento all’assoggettabilità degli elevatori allestiti e trainati (porta materiali), detti anche “scale per traslochi”, alle disposizioni dell’articolo 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e del D.M. 11.04.2011, si ribadisce preliminarmente quanto già precisato al punto 7 della circolare n. 23/2012, ovvero che “le tipologie di attrezzature di lavoro elencate nell’Allegato VII del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i. sono le stesse già soggette a precedenti norme in materia di verifiche periodiche (tra cui D.P.R. 547/55, D.M. 329/04, ecc.), salvo il caso in cui il legislatore ha voluto intenzionalmente estendere l’obbligo delle stesse attraverso il D.Lgs. n. 106/2009 ad altre attrezzature (ovvero ai carrelli semoventi a braccio telescopico, ascensori e montacarichi da cantiere, piattaforme autosollevanti su colonne)”.

Ciò premesso, ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e del D.M. 11.04.2011, per “scale aeree ad inclinazione variabile” si intendono “scale munite di argano per lo sviluppo della volata e di argano per il sollevamento della volata, il cui appoggio di base abbia un blocco atto a fissare l’inclinazione della volata nella posizione di lavoro”, destinate a consentire l’accesso in quota di uno o più operatori e le eventuali attrezzature allo scopo di effettuarvi una attività lavorativa.

Quanto sopra può desumersi dal combinato disposto degli articoli 22 e 25 del D.P.R. 547/55, dell’articolo 54 D.P.R. 164/56 e del modello D del D.M. 12.09.1959 (“Esito del collaudo tenuto conto di quanto rilevato, la scala di costruzione n. di fabbrica e n. di matricola può essere messa in uso alle seguenti condizioni:

inclinazione max gradi con carico di persone n. più 20 kg…. “), nonché dall’inclusione delle scale aeree ad inclinazione variabile nel gruppo SP (sollevamento persone) del citato D.M. 11.04.2011.

Ne consegue che le scale per traslochi, destinate al trasporto in quota di soli materiali (e non di persone), non sono soggette alle verifiche periodiche di cui all’articolo 71, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008.

6. PUBBLICAZIONE DELL’ELENCO DEI VERIFICATORI E DEI RESPONSABILI TECNICI E RELATIVI SOSTITUTI

Fermo restando il punto 7 della circolare n. 21/2011 di questo Ministero, ai fini della massima trasparenza e divulgazione possibile delle informazioni e considerate le richieste in tal senso pervenute da più Soggetti Abilitati, si ravvisa l’opportunità che i Soggetti Abilitati pubblichino sul proprio sito internet il relativo organigramma generale (matrice delle competenze) e lo mantengano aggiornato in occasione di ogni variazione autorizzata da questa Amministrazione. Si ritiene altresì che il tecnico verificatore del Soggetto Abilitato, all’atto dell’accesso presso il datore di lavoro ai fini dell’effettuazione della verifica periodica, esibisca copia della lettera di incarico (da parte del Soggetto Titolare della funzione, nel caso di cui all’articolo 2, comma 2, del D.M. 11.04.11, o del datore di lavoro nel caso di cui all’articolo 2, comma 8, dello stesso decreto) ed evidenza documentale della sua appartenenza all’elenco dei verificatori del Soggetto Abilitato.