Si richiama l’attenzione sulla sottoriportata Sentenza in cui la Corte di Cassazione ha affrontato la questione dell’indennizzo ,comprensivo della rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, in favore di lavoratore danneggiato da emotrasfusione.
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Sentenza 27 settembre 2013, n. 22256
Svolgimento del processo
La sentenza attualmente impugnata (depositata l’11 febbraio 2010) accoglie l’appello del Ministero della Salute avverso la sentenza del Tribunale di Napoli in data 5 marzo 2007 e, in riforma di tale sentenza, rigetta la domanda proposta da (…) titolare dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 – nel ricorso introduttivo del giudizio, volta ad ottenere la dichiarazione del proprio diritto alla percezione di quanto dovutole (euro 7440,60) a titolo di capitale per il mancato adeguamento annuo, secondo il tasso di inflazione determinato sulla base degli indici ISTAT, anche della voce “indennità integrativa speciale” (con i relativi interessi legali), che compone il suddetto indennizzo, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2005.
La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il Ministero della Salute sostiene che la rivalutazione annua di cui si discute compete soltanto per l’indennizzo e contesta altresì le modalità di calcolo dei conteggi, in considerazione dell’erroneità dell’utilizzazione come base della somma capitale maggiorata dagli interessi, anziché della sola somma capitale;
b) la (…) richiama l’orientamento a sé favorevole espresso da Cass. 28 luglio 2005, n. 15894, cui si è conformata Cass. 27 agosto 2007, n. 18109;
c) tale indirizzo è stato abbandonato dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. 13 ottobre 2009, n. 21703 e Cass. 19 ottobre 2009, n. 22112), con argomentazioni del tutto condivisibili;
d) ne consegue che, nella specie, la rivalutazione non può essere estesa all’indennità integrativa speciale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso (…), con due atti distinti di impugnazione, il secondo dei quali sostitutivo del primo e articolato in due motivi; resiste, con controricorso, il Ministero della Salute, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
Motivi della decisione
I – Profili preliminari
In primo luogo si rileva che la proposizione del secondo atto di impugnazione, in astratto, nella specie, ammissibile, perché il secondo ricorso è stato proposto in sostituzione del primo e non ad integrazione né correzione dello stesso (vedi, per tutte: Cass. 31 maggio 2010, n. 13257; Cass. 11 maggio 2012, n. 7344), è divenuta priva di effetti significativi, in considerazione degli ultimi sviluppi del quadro normativo di riferimento.
Va, infatti, osservato che il secondo ricorso è stato proposto, in sostituzione del precedente e in seguito ad alcune sopravvenienze verificatesi medio tempore, rappresentate da:
1) l’entrata in vigore dell’art. 11, commi 13 e 14, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in particolare, il citato art. 11, comma 13, ha disposto che «il comma 2 dell’articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d’inflazione», mentre il successivo comma 14 ha stabilito che «Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l’efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
2) il passaggio in giudicato della sentenza n. 1347/2009 del Tribunale di Napoli, che in una controversia tra le stesse parti del presente giudizio relativa ad una analoga domanda della (…), ha accolto la domanda stessa con riferimento all’intero anno 2006.
Va, tuttavia, osservato che, successivamente al suddetto secondo ricorso, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 293 del 9 novembre 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del suddetto art. 11, commi 13 e 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 cit..
Dati gli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, la sopravvenienza della suddetta sentenza è assolutamente assorbente ai fini della decisione della presente controversia e, quindi, ovviamente, anche con riguardo alla questione della successiva proposizione di due distinti atti di impugnazione da parte della G.. Il secondo ricorso è perciò inammissibile per difetto di interesse.
Il – Sintesi dei motivi di ricorso
Quanto alle censure proposte, la ricorrente, dopo aver posto l’accento sull’efficacia vincolante – anche nella presente controversia – del suddetto giudicato esterno:
a) con il primo motivo prospetta una serie di profili di illegittimità costituzionale del sopravvenuto art. 11, commi 13 e 14, del decreto-legge n. 78 del 2010 cit., da considerare ormai superati per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2011;
b) con il secondo motivo denuncia:
1) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992 e dei principi in materia di determinazione dell’indennizzo di cui alla legge medesima;
2) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., difetto di motivazione.
Si contesta l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui sì è uniformata la Corte partenopea, e si rileva che si sarebbe potuti pervenire ad una soluzione differente da quella adottata nella sentenza impugnata, dando il giusto significato ai termini usati dal legislatore nel comma 1 dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992 – sia nella versione originale sia in quelle successive, risultanti dalle modifiche intervenute nel corso del tempo – ed effettuando una lettura combinata delle norme dettate dall’intero art. 2 cit..
Sarebbe così emerso che la somma corrispondente all’integrità integrativa speciale è parte essenziale dell’indennizzo e non si tratta di due distinte e autonome entità, come ha chiarito il legislatore a partire dalle modifiche dell’art. 2 cit. introdotte con il decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 548, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1996, n. 641.
IlI – Esame delle censure
Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito esposte.
Nella suindicata sentenza n. 293 del 2011, la Corte Costituzionale ha affermato, fra l’altro, che: “l’art. 2, comma 1, della citata legge n. 210 del 1992 (e successive modificazioni) aggiunge che l’indennizzo de quo «consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L’indennizzo è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base del tasso d’inflazione programmato».
L’art. 2, comma 2 (primo periodo), della medesima legge prevede che l’indennizzo in questione sia integrato da una somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza), e successive modificazioni, contemplata per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato.
La rivalutazione su base annua, secondo il tasso d’inflazione programmato, dell’assegno disciplinato dall’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992 non era prevista dal testo iniziale di detta disposizione. Essa fu introdotta con l’art. 1, comma 1, della legge n. 238 del 1997. Nulla, invece, fu disposto al riguardo per la seconda componente dell’indennizzo, cioè per la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale, ancorché questa avesse per l’appunto funzione integrativa dell’indennizzo medesimo.
Sulla possibilità di rivalutare o meno la detta somma la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo contrastante (in senso favorevole alla rivalutazione, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze del 27 agosto 2007, n. 18109 e del 28 luglio 2005, n. 15894, secondo cui l’importo bimestrale corrisposto agli aventi diritto all’indennizzo deve essere rivalutato secondo il tasso d’inflazione annualmente programmato, sia con riferimento all’assegno di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 210 del 1992, sia con riferimento alla somma prevista dall’art. 2, comma 2, della medesima legge; in senso contrario, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza del 19 ottobre 2009, n. 22112 e 13 ottobre 2009, n. 21703, secondo le quali la possibilità di rivalutare la somma de qua sarebbe esclusa sia dal dato testuale, sia dal rilievo che l’indennità integrativa speciale avrebbe proprio la funzione di attenuare o impedire gli effetti della svalutazione monetaria, onde sarebbe ragionevole che ne sia esclusa la rivalutabilità).
La giurisprudenza di merito ha in prevalenza seguito il primo orientamento.
In questo quadro, è intervenuta la normativa censurata, recata dall’art. 11, commi 13 e 14, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.”.
“Tale disciplina non è conforme al parametro dettato dall’art. 3, primo comma, Cost., in quanto risulta in violazione del principio di uguaglianza.
Va premesso che, come questa Corte ha già chiarito, la menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari può determinare, oltre al risarcimento del danno in base alla previsione dell’art. 2043 del codice civile, il diritto ad un equo indennizzo, in forza dell’art. 32 in collegamento con l’art. 2 Cost., qualora il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell’adempimento di un obbligo legale, come la sottoposizione a vaccinazioni obbligatorie (fattispecie alla quale è stato assimilato il caso in cui il danno sia derivato da un trattamento sanitario che, pur non essendo giuridicamente obbligatorio, sia tuttavia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società: sentenza n. 27 del 1998); nonché il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli artt. 2 e 38, secondo comma, Cost., a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell’ambito della propria discrezionalità (sentenze n. 342 del 2006, n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996).
La situazione giuridica di coloro che, a seguito di trasfusione, siano affetti da epatite è riconducibile all’ultima delle ipotesi ora indicate. E il legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, è intervenuto con la legge n. 210 del 1992, prevedendo (tra l’altro) un indennizzo consistente in una misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore (sentenza n. 28 del 2009).
Le scelte del legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità, della misura, della gradualità e dei modi di erogazione delle provvidenze da adottare, rientrano nella sfera della sua discrezionalità. Tuttavia, compete a questa Corte verificare che esse non siano affette da palese arbitrarietà o irrazionalità, ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o del nucleo minimo della garanzia (sentenze n. 342 del 2006 e n. 226 del 2000).
Ciò posto, si deve rilevare che con l’art. 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), è stato disposto che «L’indennizzo di cui all’articolo 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229, è riconosciuto, altresì, ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco, nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e della macromelia».
L’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229 (Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie) rinvia, a sua volta, ai soggetti di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 e disciplina l’ulteriore indennizzo ai medesimi spettante, determinandone importo e modalità di erogazione (comma 1). Il comma 4 della norma statuisce che «L’intero importo dell’indennizzo, stabilito ai sensi del presente articolo, è rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT». Per il richiamo effettuato dalla legge n. 24 del 2007 all’intero art. 1 della legge n. 229 del 2005 anche quest’ultima disposizione si applica all’indennizzo riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide. Del resto, il regolamento di esecuzione dell’art. 2, comma 363, della legge n. 244 del 2007, recato dal decreto ministeriale del 2 ottobre 2009, n. 163 (Regolamento di esecuzione dell’articolo 2, comma 363, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che riconosce un indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell’omonimo farmaco), ribadisce nell’art. 1, comma 4, che l’importo dell’indennizzo suddetto «è interamente rivalutato annualmente in base alla variazione degli indici ISTAT».
Orbene, come già chiarito da questa Corte, non è ravvisabile irrazionale disparità di trattamento dei soggetti danneggiati in modo irreversibile da emotrasfusioni rispetto a quanti abbiano ricevuto una menomazione permanente alla salute da vaccinazioni obbligatorie, trattandosi di situazioni diverse che non si prestano ad entrare in una visione unificatrice (sentenza n. 423 del 2000 e ordinanza n. 522 del 2000). Non altrettanto, però, può dirsi per la situazione delle persone affette da sindrome da talidomide. Invero, la ratio del beneficio concesso a tali persone è da ravvisare nell’immissione in commercio del detto farmaco in assenza di adeguati controlli sanitari sui suoi effetti, sicché esso ha fondamento analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992. Nella sindrome da talidomide, come nell’epatite post-trasfusionale, i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall’autorità nell’ambito di una politica sanitaria pubblica. Entrambe le misure hanno natura assistenziale, basandosi sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli artt. 2 e 38 Cost..
In questo quadro non si giustifica, e risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità di trattamento in contrasto con l’art. 3, comma primo, Cost., la situazione venutasi a creare, a seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite post-trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide.
A questi ultimi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell’intero indennizzo, mentre alte prime la rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: art. 2, comma 1, legge n. 210 del 1992) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la maggior parte dell’indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l’altro, che soltanto questo rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione. E ciò ad onta delle caratteristiche omogenee come sopra riscontrate tra i due benefici.
La tesi della difesa dello Stato, secondo cui essi in realtà resterebbero differenziati ab origine, «nel senso che il relativo ammontare è comunque diverso», anche a prescindere dalla rivalutabilità o meno della componente commisurata alla indennità integrativa speciale inclusa nella base di calcolo, non può essere condivisa. Infatti, il diverso ammontare dell’indennizzo attiene alla determinazione del quantum e, quindi, risponde a legittime scelte discrezionali del legislatore che non sono qui in discussione. Esse, comunque, non incidono sulle ragioni unificanti sopra evidenziate.
Conclusivamente, alla stregua delle esposte considerazioni, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010. La declaratoria riguarda anche il successivo comma 14, trattandosi di disposizione strettamente connessa alla precedente, in quanto diretta a regolare gli effetti intertemporali della norma interpretativa, della quale, dunque, segue la sorte”.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 136, primo comma, Cost. “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una nonna di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, inoltre l’art. 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 prevede che detta norma dal medesimo giorno «non possa avere applicazione». Di qui l’efficacia erga omnes della dichiarazione di incostituzionalità e l’obbligo gravante su tutti i giudici (compreso, ovviamente, il giudice a quo) di disapplicare la norma dichiarata incostituzionale. Peraltro, l’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento trova un limite nei cosiddetti «rapporti esauriti», vale a dire in quei rapporti che sono stati definitivamente risolti a livello giudiziario o che non sono comunque più azionabili. Tale principio è stato più volte enunciato dalla stessa Corte, che ha affermato essere «nella logica del giudizio costituzionale incidentale che – ferma restando la perdita di efficacia della norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e la sua inapplicabilità nel giudizio a quo e in tutti quelli ancora pendenti, anche in relazione a situazioni determinatesi antecedentemente – la retroattività delle pronunce d’incostituzionalità trovi un limite nei rapporti ormai esauriti, la cui definizione – nel rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza – spetta solo al legislatore di determinare» (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 3 del 1996). Va anche precisato che il limite dei rapporti esauriti non vale, però, in relazione alle sentenze penali di condanna: l’articolo 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, stabilisce, infatti, che «[q]uando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali».
Detto questo, ai fini della presente controversia è indubbio che per effetto della richiamata sentenza n. 293 del 2011 della Corte costituzionale, in favore della attuale ricorrente, la componente dell’indennizzo costituita dall’indennità integrativa speciale di cui al secondo comma dell’art. 2 della legge n. 210 del 1992 è rivalutabile secondo il tasso annuale di inflazione programmata di cui all’art. 2, primo comma, della stessa legge n. 210 del 1992 (nello stesso senso vedi: Cass. 5 aprile 2013, n. 8433).
Tale considerazione è assorbente rispetto a tutti i proposti profili di censura.
IV – Conclusioni
In sintesi il ricorso va accolto. Conseguentemente l’impugnata sentenza deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con la dichiarazione del diritto di (…) ad ottenere la rivalutazione secondo il tasso annuale di inflazione programmata di cui all’art. 2, primo comma, della stessa legge n. 210 del 1992 della voce indennità integrativa speciale, che compone l’indennizzo ex legge n. 210 del 1992 di cui è titolare, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2005, come richiesto nel ricorso introduttivo del giudizio.
Il sopravvenire della sentenza dì incostituzionalità costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto di A. G. ad ottenere l’adeguamento della voce indennità integrativa speciale, che compone l’indennizzo ex legge n. 210 del 1992, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2005, come richiesto nel ricorso introduttivo del giudizio. Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo.
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