SENTENZA CASSAZIONE RELATI VA LICENZAMENTO PER INFEDELTA’ DIPENDENTE ENTE PUBBLICO

Si richiama l’attenzione sulla  sottostante  sentenza emessa dalla Corte di Cassazione sul ricorso  avverso  il licenziamento per  infedeltà  operato da un ente pubblico  nei confronti di un dipendente per  esercizio abusivo di professione.

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. Con sentenza del 24.3.2009, la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza 24.10.2006 del tribunale di La Spezia, che aveva rigettato la domanda con la quale B.W. aveva impugnato il licenziamento disciplinare irrogatogli dall’INPS, suo datore di lavoro.

2. In particolare, dagli atti risulta che nei confronti del lavoratore – già trasferito cautelativamente ad altra sede lavorativa nel maggio 2000 a seguito di indagine penale nei suoi confronti, e già destinatario di lettera dell’INPS del 31.7.2001 di messa in mora in relazione ad un asserito danno di oltre £. 4 miliardi per 66 trattamenti pensionistici indebitamente liquidati – era stato richiesto dalla Procura della Repubblica di La Spezia in data 28.5.2002 il rinvio a giudizio per i reati di corruzione aggravata, truffa aggravata, falsità ideologica e materiale in atto pubblico, abusivo esercizio di una professione ed usura, in relazione a fatti commessi nell’attività di servizio; il 19.9.2002, l’INPS aveva levato contestazione disciplinare per i detti fatti, ritenuti sanzionabili con il licenziamento in tronco; il 29.10.2003 il lavoratore subiva sospensione cautelare dal servizio in relazione al rinvio a giudizio; il procedimento disciplinare, immediatamente sospeso per la pendenza del processo penale, era stato quindi riattivato parzialmente dopo che il tribunale di La Spezia, disponendo il rinvio al giudizio del lavoratore per vari dei reati ascritti, con sentenza del GUP lo assolveva dal reato di usura e di esercizio abusivo della professione; in particolare, la ripresa del procedimento disciplinare veniva fatta in data 14.11.2003 limitatamente al lavoro in nero svolto dal dipendente INPS nei confronti di privato consulente del lavoro, contestandosi l’infedeltà del lavoratore anche sulla base dell’accertamento del ricevimento di somme di denaro da terzi contenuto nella sentenza penale che pur lo aveva prosciolto per i titoli di reato anzidetti; il 19.2.2004 il dipendente veniva licenziato per giusta causa.

3. La corte territoriale ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare, rituale l’iter procedimentale, legittima la ripresa del procedimento, proporzionata la sanzione.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso il lavoratore per quattro motivi. L’INPS è rimasto intimato, limitandosi a delegare il difensore per l’attività di udienza.

5. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare del 19.9.2002, trascurando che già con comunicazione 26.2.2000 il lavoratore era stato trasferito ad altra sede in correlazione con vicende dell’inchiesta penale che lo interessava e con quella amministrativa per la revoca delle pratiche pensionistiche da lui lavorate, e che con nota di messa in mora 31.7.2001 era stato quantificato il danno all’istituto derivante da pratiche pensionistiche false ascritte al lavoratore, sicché sin da tali momenti il datore non avrebbe potuto che esser già a conoscenza dei fata disciplinarmente rilevanti e, correlativamente, la contestazione disciplinare sarebbe dovuta avvenire nei venti giorni successivi, ai sensi dell’art. 28 co. 8 c.c.n.1. 6.7.1995 (applicabile ratione tempons, ai sensi della disciplina transitoria dettata dall’art. 19 c.c.n.l. 9.10.2003).

6. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 Stat. Lav. e 27, co. 2, e 28, co. 8, del c.c.n.l. 6.7.1995, per avere la sentenza ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare, escludendo la possibilità per il datore di lavoro di effettuarla precedentemente in ragione del segreto istruttorio sui medesimi fatti derivante dalla pendenza di procedimento penale. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “se il datore di lavoro che abbia conoscenza di fatti di rilievo disciplinare fornanti oggetto di indagine penale ovvero connessi con fatti oggetto di indagine preliminare sia esentato dall’obbligo di tempestiva contestatone dell’illecito disciplinare al dipendente, nel rispetto dei tempi e delle modalità di procedura imposte dall’art. 27 co. 2 c.c.n.l 6.7.1995, e ciò al fine di salvaguardare il segreto istruttorio.

7. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 Stat. Lav. e 28, co. 8, del c.c.n.l. 6.7.1995, nonché omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, in relazione alla ritenuta irrilevanza della pregiudizialità tra I fatti oggetto del procedimento penale pendente e quelli del procedimento disciplinare, laddove secondo il ricorrente la connessione di relativi fatti è rilevante, ed è tale da impedire la conclusione del procedimento disciplinare sulle questioni connesse con quelle ancora oggetto del procedimento penale. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “se il datore di lavoro che procede disciplinarmente nei confronti del dipendente per un fatto di rilievo disciplinare connesso con altri formanti oggetto di procedimento penale sia tenuto, ai sensi dell’art. 28, co. 8, c.c.n.l 6.6.1995, a sospendere il procedimento disciplinare medesimo soltanto nell’ipotesi in cui la connessione tra i fatti sia caratterizzata dai presupposti e dal vincolo della pregiudizialità ovvero se ogni ipotesi di connessione, anche probatoria, tra i medesimi fatti imponga al datore di lavoro di provvedere alla sospensione del procedimento disciplinare”.

8. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta omessa o insufficiente motivazione circa un atto decisivo del giudizio, inerente la contestata violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare, per avere la sentenza trascurato che in sede di riapertura del procedimento disciplinare già sospeso erano stati indicati fatti ulteriori rispetto a quelli già oggetto della contestazione, inerenti alcune dazioni di denaro al ricorrente, e si erano posti tali fatti a base non più dell’originario addebito di corruzione, bensì di quello diverso relativo alla violazione del principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego.

9. Il primo motivo di ricorso riguarda la tempestività della contestazione disciplinare ed è infondato.

10. L’accertamento di un danno subito dal datore non implica necessariamente l’accertamento sul contenuto della responsabilità in tutti i suoi elementi e sul grado di responsabilità e può richiedere accertamenti ulteriori in relazione alla complessità dei fatti: solo ove siano accertati adeguatamente tutti gli anzidetti profili, sorge l’obbligo della contestazione disciplinare, presupponendo questa l’accertamento dell’illecito disciplinare in tutti i suoi elementi costitutivi.

11. Nella specie, la sentenza di merito ha correttamente rilevato che il trasferimento del lavoratore era solo misura cautelare dettata dalla necessità di evitare la presenza del lavoratore nel luogo oggetto di indagini amministrative circa le irregolarità compiute e probabilmente ascrivibili al lavoratore trasferito; la sentenza ha del pari rilevato che la messa in mora è pure atto cautelare con il quale l’ente ha inteso premunirsi contro gli effetti estintivi della prescrizione in ordine a suoi possibili crediti, il cui ammontare non era definito completamente, essendo in coso l’indagine penale; infine, la sentenza ha anche preso atto che l’indagine penale era notevolmente complessa, per la mole di documenti da esaminare e per la necessità di verificare i presupposti di numerosi trattamenti pensionistici erogati con i soggetti figuranti come datori di lavoro in diversi periodi, e che solo all’esito dell’indagine penale i rilievi e le irregolarità avevano preso corpo e consistenza ed erano emersi i nominativi dei soggetti responsabili degli illeciti.

12. La valutazione della corte territoriale risulta adeguata e corretta, e rispetta i principi affermati da questa Corte in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare. Si è infatti affermato (Sez. L, Sentenza n. 20719 del 10/09/2013; Sez. L, Sentenza n. 15649 del 01/07/2010; Sez. L, Sentenza n. 18711 del 06/09/2007; Sez. L, Sentenza n. 14113 del 20/06/2006) che, in tema di procedimento disciplinare, il principio secondo il quale l’addebito deve essere contestato immediatamente va inteso in un’accezione relativa, compatibile con l’intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore. La valutazione dell’immediatezza della contestazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito (il cui giudizio, insindacabile in sede di legittimità ove sia immune da vizi logici e sia adeguatamente motivato), il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili ed idonee.

13. Il secondo motivo di ricorso riguarda la rilevanza del segreto istruttorio (su fatti valutabili sia a fini penali che disciplinari), al fine di legittimare il datore di lavoro a procrastinare la contestazione disciplinare all’esito del venir meno del segreto.

14. La doglianza formulata al riguardo dal ricorrente non ha pregio. Da un lato, questa Corte ha più volte affermato (Sez. L, Sentenza n. 3600 del 16/02/2010; Sez. L, Sentenza n. 4502 del 21/02/2008) che, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito della tempestività del licenziamento, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la definitiva contestazione disciplinare ed il licenziamento per i relativi fatti ben possono essere differiti in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso; si è precisato inoltre (Sez. L, Sentenza n. 3697 del 17/02/2010; Sez. L, Sentenza a 3697 del 17/02/2010) che, in tema di procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, per fatti penalmente rilevanti, non è ipotizzabile la violazione del principio di immediatezza della contestazione e dell’adozione del provvedimento disciplinare, qualora la P.A., uniformandosi alle disposizioni della contrattazione collettiva in caso di emergenza di fatti-reato, abbia atteso l’esito delle indagini e del processo, destinando il dipendente ad altre mansioni, e in seguito, avuta notizia, in via ufficiale, del rinvio a giudizio, abbia provveduto alla sospensione cautelare e, all’esito del processo penale, a nuova valutazione dei fatti ascritti al lavoratore, disponendone il licenziamento.

15. Dall’altro lato, si è pure specificamente evidenziata l’esigenza del rispetto del segreto istruttorio, affermando (Sez. 2, Sentenza n. 23477 del 05/11/2009), pur nel diverso ambito delle sanzioni amministrative, che, qualora gli elementi di prova di un illecito amministrativo emergano dagli atti relativi alle indagini penali, il termine stabilito dalla legge per la notificazione della contestazione decorre dalla ricezione degli atti trasmessi dall’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, posto che, qualora fosse consentito agli agenti accertatoti di contestare immediatamente all’indagato la violazione amministrativa, l’autorità giudiziaria non sarebbe messa in condizione di valutare se ricorra o meno la “vis attractiva” della fattispecie penale e, nel contempo, sarebbe frustrato il segreto istruttorio imposto dall’art. 329 cod. proc. pen..

16. Può dunque affermarsi che, in tema di procedimento disciplinare, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito della tempestività della contestazione, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la contestazione disciplinare per i relativi fatti ben può essere differita dal datore di lavoro in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso, anche in ragione delle esigenze di tutela del segreto istruttorio.

17. Il terzo motivo riguarda la possibilità di riprendere il procedimento disciplinare per fatti dei quali la rilevanza penale sia esclusa, ove i medesimi fatti siano connessi ad altri ancora oggetto di procedimento penale.

18. La sentenza ha correttamente motivato la decisione sul punto, rilevando che dalla sentenza di assoluzione risulta che le somme percepite dal dipendente INPS costituivano il compenso per attività lavorativa svolta in nero e non il profitto del reato di esercizio abusivo della professione, sicché all’esito di tale sentenza non vi era più connessione con i fatti per i quali vi era stato rinvio a giudizio, che erano diversi e legati da mera contemporaneità e non da connessione con quelli oggetti del procedimento disciplinare riattivato. Una volta venuta meno la connessione, l’INPS non era più tenuto ad attendere l’esito del processo penale per gli altri reati contestati al dipendente e ben poteva riattivare il procedimento disciplinare per fatti autonomi per i quali la responsabilità penale del dipendente era stata ormai definita.

19. In secondo luogo, va poi detto che la legge non condiziona più la sospensione del procedimento disciplinare alla durata ilei processo penale, limitando le eventuali garanzie del lavoratore al più alla sola sospensione cautelare ed alla sua durata, affermandosi invece una autonomia del procedimento disciplinare che legittima il datore di lavoro (pur non imponendogli tale soluzione, come sopra evidenziato) a svolgere il procedimento disciplinare senza necessariamente attendere l’esito di quello penale, tanto più se i fatti oggetto dei due procedimenti sono diversi, come nella specie. Si è infatti affermato, pur con riferimento al lavoro pubblico c.d. “privatizzato” dei dirigenti (Sez. L, Sentenza n. 9458 del 21/04/2009) che, essendo divenuto inapplicabile l’art. 117 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (che stabiliva il divieto di avvio di un procedimento disciplinare in pendenza di quello penale) a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro, a!l’amministrazione è data facoltà in ogni tempo di scegliere se avviare il procedimento disciplinare o attendere l’esito del giudizio penale.

20. In tale contesto, l’obbligo di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale può si derivare da previsione contrattuale, ma -ove questa preveda la sospensione in ragione dell’identità dei fatti oggetto dei due procedimenti- la relativa previsione non può estendersi fino al punto da ricomprendere anche fatti diversi oggetto di procedimento penale, pur connessi sul piano meramente probatorio e non legati a quelli oggetto del procedimento disciplinare da vincolo di pregiudizialità.

21. Può dunque affermarsi che il datore di lavoro può riattivare il procedimento disciplinare per fatti dei quali la rilevanza penale sia esclusa, anche ove i medesimi fatti siano connessi ad altri ancora oggetto di procedimento penale, non legati ai primi da vincolo di pregiudizialità.

22. Il quarto motivo riguarda la immutabilità della contestazione disciplinare ed è infondato: la sentenza impugnata ha, infatti, correttamente motivato in ordine alla corrispondenza dei fatti posti a base della sanzione con quelli già oggetto di contestazione disciplinare. In particolare, lo svolgimento di attività lavorativa di consulenza del lavoro e la ricezione di somme di denaro nell’ambito di tale attività, nella loro dimensione fattuale e fenomenica, erano state già contestate al lavoratore nella contestazione del 2002, restando irrilevante che solo con la riattivazione del procedimento disciplinare all’esito della sentenza del GUP del tribunale, i medesimi fatti siano stati considerati per l’addebito di diversa (e, peraltro, minore) violazione, essendo questa mera qualificazione giuridica diversa (non più esercizio abusivo della professione, ma lavoro illegittimo alle dipendenze di terzi) di fatti immutati nella loro fenomenicità e rispetto ai quali il lavoratore era già in grado di controdedurre.

23. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € 100 per spese ed € 5.000 per competenze, oltre accessori come per legge

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